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Ad un anno esatto dall’uscita del suo terzo album “L’Anarchia della ragione”, incontriamo il cantautore Leonardo Veronesi, dopo i successi di “Rock Circus” e “Music Park”. Veronesi è attivo sulla scena musicale italiana da vari anni con tre album incisi, “Uno”, “Domandario”, “L’Anarchia della Ragione”, e ha nel suo curriculum diverse collaborazioni prestigiose come autore. Negli anni ha stretto un solido legame con la nostra città, lo si vede di frequente attraversare le vie e le piazze di Ferrara. In questo periodo continua la promozione del suo ultimo album, uscito per l’etichetta Jaywork, con un tour partito lo scorso ottobre che sta riscuotendo molto successo attraverso le “Cantacchierate”.
La sua versatilità lo porta a spaziare in vari campi. Contemporaneamente alla sua attività di autore, alterna esibizioni live alla composizione di brani anche per altri artisti. Si è cimentato in sigle di trasmissioni televisive. Ha partecipato al 53° Zecchino d’oro come autore con il brano “I suoni delle cose”, ed è arrivato al terzo posto al 55° Zecchino d’Oro con il brano “Il Blues del manichino” del quale è stata registrata anche la versione spagnola interpretata da Carmen Aranda che sta avendo molto successo in Spagna. Per Carmen Aranda ha inoltre scritto il singolo “Acqua” uscito sia in italiano che in spagnolo. Attualmente ha scritto tre brani per il nuovo album di Frenk Nelli (“Mi lavo”, “Il nostro amore”, “Non c’entra niente” che dà il titolo all’album) e il singolo “Quel che non c’era” per War-k.
Lo abbiamo intervistato per conoscerne la personalità e scoprire l’impegno che sta dietro ad un percorso artistico che si sta consolidando.

Quando hai iniziato ad interessarti alla musica? E come ti sei avvicinato?
Ho sempre avuto attenzione per la musica sin da piccolo quando ascoltavo le sigle dei cartoni animati. Mi sono sempre interessato più che ai cantanti a chi lavora dietro le quinte di un album, dagli autori, ai turnisti, ai produttori. Il primo approccio importante risale ai primi anni ‘90.

Raccontaci un po’ del tuo percorso artistico…
Ho diviso il percorso tra le serate live nei locali con varie cover band e la frequentazione ravvicinata di autori e produttori per imparare il mestiere, tra cui Davide Romani, Roberto Casini e Carlo Marrale.

Quanto è importante per un artista raggiungere un proprio stile e un’identità?
Penso che la cosa più importante sia avere personalità, avere una visione precisa e le idee chiare su come raccontare una storia, cantare una frase, strutturare un brano, utilizzare la voce, utilizzare un determinato suono, ecc.

Quali sono stati e quali sono ora i tuoi riferimenti?
Cerco di ascoltare tutto, ma penso che la musica che mi ha influenzato di più siano state le sigle dei cartoni animati manga, la New wave degli anni ‘80, le colonne sonore di alcuni film e i cantautori italiani.

Cosa rappresenta per te la musica? Che spazio ha nella tua vita?
Penso che la musica ormai sia diventata parte integrante della mia personalità, nel bene e nel male.

Cosa provi quando ti esibisci?
Emozione, divertimento ed energia.

Quanto conta per te il testo di un brano rispetto alla musica?
Penso abbia la stessa importanza della musica, anche se nella mia testa ragiono più da musicista, tant’è che memorizzo meglio gli accordi dei testi.

A cosa ti ispiri quando componi? E’ più difficile “incastrare” versi e parole alla musica o il contrario?
Io m’ispiro generalmente ad esperienze personali, a quello che osservo e che spesso non capisco. Per quanto riguarda versi e musica, penso sia più difficile incastrare le parole giuste nella musica giusta.

Uno dei problemi della musica odierna è che molti artisti vogliono bruciare le tappe. A volte sembra che basti vincere un talent per essere o diventare un artista di successo. Invece la notorietà è diversa dalla fama, e una volta guadagnata è difficile da conservare. Non sarebbe meglio che il successo arrivasse passo dopo passo all’insegna della gavetta e dell’ esperienza?
Tanti anni fa in un locale in Toscana, alle prime esperienze, la band con cui mi esibivo mi catapultò chitarra e voce davanti al pubblico per qualche brano, prima di cominciare insieme. Per l’emozione e l’inesperienza stonai e sbagliai diversi accordi con la chitarra. A quel punto il pubblico mi fischiò e per me fu devastante. Con l’entrata del resto della band dovetti riconquistare la fiducia del pubblico. A fine serata mi applaudirono. Questo è l’unico modo per crescere e diventare dei musicisti.

Le tue canzoni si ispirano di più al mondo che ti circonda o sono più autobiografiche? Cioè i tuoi testi nascono da un impulso o da una riflessione?

Direi più da una riflessione che spesso porta ad un impulso.

Nell’ ultimo decennio si è sempre più sentito parlare di crisi discografica. Secondo te la colpa è solo delle nuove tecnologie che permettono di scaricare illegalmente i brani o anche del mercato stesso ormai saturo di proposte?

La colpa è dell’Italia, perché Inghilterra e America riescono a far convivere tecnologia, nuove proposte e vendite.

Che momento pensi sia questo per la canzone d’autore e per il mondo cantautorale cui appartieni?
Per me le idee e le belle canzoni ci sono, ma nessuno ha più voglia di cercarle, di ascoltarle e promuoverle, perché nessuno pare abbia più tempo di ascoltare musica.

Ci sono differenze tra i cantautori degli anni ‘70 e gli attuali?

Entrambi sono quasi tutti di sinistra, quelli degli anni ‘70 più geniali, quelli di adesso sperimentali, cupi, spesso cacofonici, ma quello che mi colpisce di più è che non sono emozionanti. Con alcuni cantautori della precedente generazione spesso ho pianto per l’emozione che mi trasmettevano e mi trasmettono tutt’ora. Io ricerco questo, non il linguaggio nichilista e decadente, da impero decaduto, che va di moda adesso.

Mi pare che si sia tornati comunque ad una attenzione maggiore nei confronti della lingua italiana sei d’accordo?
Mi sembra di sì.

Cosa ne pensi del mondo del rap e dell’uso che si fa del linguaggio che normalmente viene usato, lo slang e parole create per affermare quel particolare contesto?
Lo trovo interessante, pare che siano loro i nuovi cantautori… ma in realtà spero caldamente di no.

Con la tua musica quali messaggi vorresti arrivassero al pubblico?
Voglia di ascoltare musica non banale e voglia di pensare.

Ti piace collaborare con altri artisti, con un team o lavori preferibilmente da solo?
È stimolante confrontarsi con gli altri, quindi in linea di massima mi piace creare un team di lavoro, perché in genere se sfugge qualcosa a te è più difficile che non sfugga all’altro.

C’è un brano dei tuoi cui sei particolarmente legato?
Forse “L’Anarchia della ragione”.

Secondo te chi va in classifica e riempie le platee è sempre un grande artista di successo o spesso è frutto del caso e non c’è corrispondenza con il vero talento?
Non sempre il successo è direttamente proporzionale alla qualità.

Un ultima domanda, quella classica… quali sono i tuoi progetti per il futuro? Ci puoi anticipare qualcosa?
Alcune produzioni per giovani talenti, una colonna sonora e il mio nuovo album.

Per saperne di più visita il sito di Leonardo Veronesi

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Redazione di Periscopio

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