L’INTERVISTA
La leggenda di un ciclista. Edoardo Rosso: “Al và com un Binda!”
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“Larger than life” è una espressione che letteralmente sta per “più grande della vita”, ma che tradotto si utilizza per indicare qualcuno o qualcosa di forte, estremo, di notevolmente accentuato che si discosta da una tranquilla media. Di trascendente.
Un aggettivo che si adatta perfettamente ad Alfredo Binda, ciclista italiano protagonista del libro “L’invincibile Binda” di Edoardo Rosso (Italica Edizioni), che sarà presentato in Biblioteca Ariostea, venerdì 26 giugno, in occasione della tappa ferrarese del Giro d’Italia in 80 librerie [vedi]. “Il libro – racconta Rosso – è una biografia romanzata del campione, in quanto ripropone le vicende di Binda da fonti autentiche e originali, tra cui soprattutto una lunga intervista che rilasciò alcuni anni prima di morire, in cui si ritrovano episodi narrati da lui stesso, e da zone grigie di cui, non essendo conservate tracce certe, sono state create ex novo tentando di immaginare punti di congiuntura plausibili con le aree ben note. L’idea di scrivere un libro su questo personaggio è arrivata dalla casa editrice, che mi ha proposto un progetto per la collana “L’Ammiraglia”, incentrata su storie di grandi sportivi italiani che hanno attraversato e raccontato la storia del nostro Paese. Ho scelto Alfredo Binda perché lui se ne è andato nel 1986, anno in cui sono nato io; e mi piaceva l’idea di concepirlo come una sorta di omaggio. Da bambino poi, quando tolsi le rotelline alla bicicletta e partii senza appoggi, ricordo l’esclamazione di mio nonno che disse “Al và com un Binda!” (io sono piemontese). E lì è rimasto impresso questo nome, fino a oggi.
La storia – continua – comincia con un Binda che, ragazzino, emigra in Francia assieme alla famiglia, e proprio Oltralpe il suo talento verrà scoperto da Eberardo Pavesi; ritornato in Italia divenne uno dei più grandi ciclisti di sempre, unico a condividere i record di Fausto Coppi e Eddy Merckx, e poi commissario tecnico della Nazionale italiana.”
C’è la struttura del ‘bildungsroman’ mescolata al romanzesco, forse mai esagerato data la caratura che assunse questo personaggio introverso e freddo, che dalla folla ricevette fischi e dalla quale mai fu amato nonostante fosse il protagonista quasi indiscusso di ogni competizione che lo vide partecipante.
Un personaggio fuori dalle righe che poteva permettersi di guardare il fiume di avversari da sopra un ponte e che, oltre successi e facciata, ricorda un pò tutti noi nella solitudine e nella estrema ricerca di qualcuno a cui rendere conto, che gli fosse vicino e che vedesse in lui la pelle ferita di un uomo prima ancora che le medaglie di un campione; che accoglie le luci della vittoria e le ombre di un campione pagato per non correre, perché aveva già vinto tutto quello che c’era da vincere – accettando la proposta dell’organizzazione del Giro d’Italia che lo vide vincere cinque volte e come tale, data una manifesta superiorità agonistica, come detrattore della giusta aura di attesa e competizione che doveva (e deve) ammantare una qualunque gara.
E poi i rapporti con i compagni di squadra, con i pochi amici – Giovanni Brunero, Tano Belloni; il fratello Albino, di minor successo ma comunque talentuoso ciclista; e Costante Girardengo, con il quale intrattenne un curioso rapporto di rivalità e ammirazione, del rapporto mutevole e manicheo tra l’astro nascente e il campione maturo, che non costruiscono alcun tipo di scambio nè di rapporto.
“Forse l’aspetto che colpisce al cuore di questa persona complessa e grande è la sua evoluzione, l’insieme di sfaccettature di bianco e nero che deve superare per diventare uomo. Ecco la sua unicità, e il passo che conquista: lui diventa prima campione impareggiabile, fischiato dalla folla che non lo apprezza e lo accoglie fischiandolo a ogni vittoria, e poi uomo, che si scioglie con l’amore.”
Quello che muove il sole e le altre stelle, e forse le ruote di una bicicletta sulla salita più ripida.
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Giorgia Pizzirani
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