L’INTERVISTA
“Io, ebreo scisso fra sogno messianico e la realtà
dello Stato di Israele”
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La settimana scorsa si è tenuta a Berlino, di fronte alla neoclassica Porta di Brandeburgo, un’imponente manifestazione contro l’antisemitismo, che è emerso in modo particolarmente virulento nei giorni dell’ultimo conflitto israeliano-palestinese. Tra i vari manifestanti si sono distinti quasi da subito due schieramenti all’interno dei numerosi israeliani: un gruppo di israeliani “sionisti” e un gruppo di israeliani “antisionisti.” Se la circostanza non fosse stata comunque drammatica, avrebbe quasi fatto sorridere questa divisione così particolare e complessa da decifrare – quasi un omaggio ad una famosa barzelletta sulla proverbiale litigiosità ebraica (un ebreo resta sperduto per cinque anni in un’isola deserta e quando viene ritrovato gli chiedono perché abbia costruito due sinagoghe e risponde: una è la sinagoga che frequento, l’altra è la sinagoga in cui non metterei mai piede!).
In quest’occasione ho rivisto un mio compagno di lettura di filosofia, un giovane studente israeliano e blogger, Tomer Dreyfuß, il quale si è lasciato intervistare anche su temi piuttosto scottanti, persuaso forse dal suono un po’ folcloristico del mio “giudeo-italiano,” forse dalla reciproca familiarità, per aver condiviso molte ore sugli stessi testi.
In effetti, fuori dalle pagine di filosofia, ho scoperto un’altra faccia di Tomer. Non condivido alcune delle sue opinioni ma apprezzo molto l’integrità e l’onestà intellettuale di questo giovane, atipico israeliano che ama mettere in discussione anche quei principi identitari, come il “sionismo,” che si danno comunemente per scontati e che anzi si credono difesi strenuamente con la violenza e le bombe, mentre invece hanno esattamente bisogno di questo: una discussione appassionata sui principi fondanti dello Stato d’Israele, senza alcun sospetto distruttivo bensì, come recita il profeta, “per amore di Sion non tacerò” (Is 61:1). Cominciamo, dunque.
Ciao Tomer. Ti puoi presentare brevemente? Sei un israeliano e studi filosofia a Berlino. Posso chiederti perché hai deciso di fare filosofia e perché hai deciso proprio di studiarla in Germania? C’è una qualche connessione?
Studio letteratura e filosofia a Berlino. È stata una decisione che ho preso all’ultimo momento, prima di presentare i documenti in ufficio. Non ero venuto in Germania per studiare. Volevo studiare e volevo andare in Germania: le due cose hanno semplicemente coinciso. Ero qui prima di cominciare con gli studi e forse ci resterò anche quando avrò finito. Penso che quello che si insegna in classe in Germania sia relativamente compatibile con i miei interessi. Nei paesi di lingua inglese predomina invece la filosofia analitica e questo la fa assomigliare un po’ alla matematica. Penso che la filosofia, nonostante tutti i tentativi da parte della scuola analitica, riguardi proprio tutti i settori pratici delle vita, questioni esistenziali, di genere, politica, economia, psicologia e critica letteraria, ad esempio. La filosofia abbraccia tutte queste questioni e vi pone delle domande “dall’esterno,” domande che non si possono porre “dall’interno.” Anche in Germania c’è una attrazione per l’America, in tutti i settori, anche lì, nella filosofia. Peccato… In ogni caso trovo gli studi relativamente appaganti e soddisfacenti.
Quindi ami la filosofia continentale… Pensi che l’educazione filosofica influenzi la tua concezione della tua “identità ebraica,” oppure preferiresti chiamarla “identità israeliana”? Ti pare che ci sia una differenza tra “l’identità ebraica” e “l’identità israeliana” visto che sei un ebreo nato e cresciuto in Israele?
Preferisco vedermi come “ebreo” e non come “israeliano.” Si tratta di una definizione con cui mi sento più in pace. La definizione come “israeliano” mi sembra problematica e manchevole. Questa manchevolezza è dovuta soprattutto dalla discussione che si fa sulla questione dell’identità (israeliana). I miei nonni erano nati in Europa. L’educazione che ho ricevuto è “ebraica.” Sono un laico ma comunque sono ebreo. Quindi non so davvero che cosa sia l’identità “israeliana.” Secondo me, si tratta degli ebrei che vivono nella terra di Israele. Se non è così, non sento di farne parte. Sono un “ebreo diasporico” e ne sono fiero.
Secondo me, il fatto di aver assegnato al popolo ebraico una vera e propria estensione territoriale geografica… (a questo punto noto come Tomer stia cercando una lunghissima circonlocuzione per evitare di pronunciare la parola aretz, “terra”, Ndr) l’ha fatto sbarellare. Questo è un popolo che era sopravvissuto per migliaia d’anni solo struggendosi per una terra e, secondo me, questo struggimento ha forgiato proprio quei concetti che hanno reso tale il popolo ebraico. Ad esempio, l’attesa del messia. I cristiani hanno Gesù, i musulmani hanno Maometto. Non abbiamo il messia. È la nostra unicità, proprio il fatto che il nostro messia non sia arrivato e che non arriverà… Una sorta di figura astratta che ci lascia proprio in condizione di guardare al futuro che verrà. Quei popoli di cui è già arrivato “il loro messia” non guardano avanti bensì indietro. Al momento in cui è arrivato loro, alle cose che ha detto e che ha fatto.
Penso che uno Stato ebraico in Israele sia proprio una specie di metafora simile. Qualcosa che non è detto che arrivi sul serio. Qualcosa che forse dovrebbe restare nelle nostre preghiere. A Sion. Per duemila anni abbiamo pregato per Sion e in questo dolore eravamo tutt’uno. Ora abbiamo Sion. Quindi perché pregare? Un ebreo che si strugge per Sion… basta che salga su un aereo e voli fin lì. Lo Stato di Israele gli dà addirittura un passaporto. Non voglio nemmeno addentrarmi in altre questioni fin troppo chiare, cioè che lo Stato di Israele sta traviando la via spirituale del popolo ebraico, che lo sta spingendo ad occupare territori, una condizione che lo corrompe ogni minuto che passa.
Ma c’è dell’altro. Penso che “israeliano” ed “ebraico” al giorno d’oggi, su spinta dello Stato di Israele, siano uno in contraddizione con l’altro. Israele assilla gli ebrei non israeliani, li tratta con disprezzo e razzismo. Se sei un ebreo americano oppure francese che ha deciso di trasferirsi in Israele, sei benvenuto! Abbiamo bisogno di te e dei tuoi sforzi. Ma tutti quegli ebrei che non possono giovare ad Israele vengono gettati giù per le scale… Questo è lo stesso disprezzo e razzismo che Israele ha avuto nei confronti dei miei nonni quando arrivarono dalla Shoah, gli ebrei che arrivarono a pezzi dalle rivolte nei paesi arabi negli anni Cinquanta e Sessanta, ebrei che arrivarono dall’Etiopia negli anni Ottanta o i rifugiati politici dall’Unione Sovietica (persino sopravvissuti dalla Shoah) – che assorbirono tutto il razzismo istituzionale, da quel momento in poi, da parte dello Stato israeliano.
L’hai sempre pensata così oppure le tue opinioni politiche sono cambiate quando hai deciso di studiare e vivere in Germania?
Quando ho lasciato Israele mi si è liberata la mente. Prima c’era costantemente un lavaggio del cervello da parte dello Stato, dei media, le scuole, l’esercito, ovunque e sempre. Sono stato in grado di vedere le cose dal di fuori. Ho capito quanto fossero assurde le cose. I media israeliani sono davvero spaventosi. Fanno solo costantemente propaganda. Vedo come gli lavano il cervello. Ora, di recente, hanno deciso di promuovere anche lo “studio della Shoah” nelle scuole. Penso che proprio l’idea di studiare la Shoah al di fuori delle lezioni di storia sia una perversione (sussulto per un momento, trascinato dalle mie idiosincrasie accademiche: Tomer ha usato il termine sotah, generalmente usato per indicare una donna adultera, un termine ora usato nello slang israeliano per indicare un’“adulterazione” di qualcosa. Ndr). Si tratta di una concezione di una cultura comune che affonda le basi sulla morte orribile, sull’orrore e sulla malattia mentale che hanno passato intere generazioni del nostro popolo. È assai problematico che sempre più israeliani vedano la Shoah come una componente centrale della loro identità ebraica. Come se non ci fosse un ebraismo prima del 1939…
Ti metti in disparte e vedi che ogni bambino sa recitarti a memoria i nomi dei campi di sterminio ma non c’è uno di loro ce sia capace di dirti chi siano Rambam (ovvero Maimonide, il grande filosofo medievale, Ndr) o Ramhal (ovvero il grande rabbino italiano e cabalista Mosè Luzzatto, Ndr), che cosa succeda nel libro di Daniele o quale sia il pensiero di Mendelsohn, Gershom Scholem, o in che anno sia avvenuta l’espulsione degli ebrei dalla Spagna.
Questo è uno “Stato ebraico”? Questo è uno Stato il cui tratto distintivo è la Shoah. Lo vedi bene dall’esterno. Questa paranoia nazionale, maniaco-depressiva, collettiva. Dall’esterno vedi che è una gabbia di matti in cui non metteresti la tua testa sana.
In quanto ebreo e in quanto israeliano che opinioni hai sulla Germania e sulla sua colpa storica durante la Shoah?
Secondo me la questione è se l’indagine storica della Shoah debba essere un fatto singolare oppure un evento universale. Se la Shoah è un evento singolare, allora la sua morfologia è unica. Si è realizzata perché i tedeschi erano così e così e perché gli ebrei erano così e così e perché l’Europa era così e così precisamente nell’anno 1939 eccetera eccetera. Secondo questo approccio ovviamente penso che la Shoah non possa ripetersi perché non ci sono più le medesime condizioni e questo è il modo più semplice e irresponsabile per risolvere la cosa. Non si può ridurre la Shoah ad un evento del genere bensì va considerata in relazione al degrado morale della società, come conseguenza di istigazioni al razzismo, ridefinendo costantemente i criteri quotidiani per assolvere ad un compito.
Ad esempio, non credo chela maggior parte dei tedeschi volesse uccidere gli ebrei nei campi di concentramento. Credo che i tedeschi volessero “dare una mano al Paese” (un’espressione che oggi sentiamo ovunque) e qualcuno è andato ad arruolarsi nell’esercito per combattere al fronte e così via. Del resto non credo, contrariamente alla maggior parte della sinistra europea, che la maggior parte degli israeliani voglia opprimere i palestinesi. Penso che la maggior parte di loro voglia essere “buoni cittadini,” Il problema è che è proprio chi sta al governo a decidere che cosa significa essere dei “buoni cittadini.” E queste persone sono razziste e pericolose. Proprio perché hanno il potere.
Per ritornare alla responsabilità dei tedeschi, in ogni caso, questo è ciò che gli è successo alla fin dei conti. Penso che le persone qui siano davvero brave a scrivere ovunque con lo spray “Via i nazisti!” oppure “Contro i nazisti!”, ma non sono poi così bravi a discutere davvero su che cosa significhi essere nazisti.
Un nazista è necessariamente un tedesco? Una vittima del nazismo deve essere per forza un ebreo? Credo di no. Non accuso i tedeschi di oggi per cose che hanno compiuto altre persone settant’anni fa. Li accuso di non trarre le conclusioni da tutto ciò:che ogni forma di razzismo è pericolosa.
Anche il razzismo contro i musulmani è pericoloso. Anche quello verso i Rom. Li accuso di fare manifestazioni contro l’antisemitismo nello stesso momento in cui bruciano le moschee e in cui gli studi mostrano che i Rom sono la minoranza più odiata in Germania. Li incolpo chi tappezza la superficie di monumenti invece di ripulire dalla violenza razzista tutto ciò che sta sotto la superficie.
Se ti consideri un “ebreo e israeliano non sionista,” pensi che sia una buona idea manifestare simili idee estreme (se pensi che siano idee estreme) in un paese così importante e così negativo per gli ebrei, come è la Germania? Non pensi che simili idee potrebbero compromettere la legittimità di esistere e vivere in pace dello Stato di Israele?
Non credo che le mie idee possano mettere in pericolo lo Stato di Israele. Al contrario, penso che Israele dovrebbe sottoporsi ad un piano di riabilitazione. Proprio come i sopravvissuti della Shoah che soffrivano di disturbi psichici hanno avuto bisogno di un trattamento psicologico, quindi così vale lo stesso anche su scala nazionale.
Ma quando la Germania sostiene la politica di Israele viola i diritti umani e perpetua la situazione di conflitto in Israele per la qualche chiede di sacrificare i suoi figli, questa non è riabilitazione. Questo non è sostegno. Questo è come avere un amico alcolista e invece di costringerlo a sottoporsi ad una terapia, gli si acquista dell’altra vodka. Penso che dovremmo sottoporci ad una terapia. Penso che questa sarebbe una vera amicizia. Anche da parte della Germania, anche dell’Italia, anche da parte di qualsiasi Stato – che non metta in pericolo l’esistenza di Israele, che lo salva da se stesso.
Non pensi sarebbe meglio evitare di parlare in pubblico di questioni politiche come queste?
Anzi, più se ne parla, meglio è. Chi meglio di te – come italiano – sa quanto sia pericoloso che una sola parte dello schieramento politico abbia risalto sui media. È importante far sentire anche l’altra parte dello schieramento. Alla fin fine, vogliamo tutti il meglio per l’umanità e non credo che ci siano opinioni che andrebbero censurate.
Come sono state accolte le tue opinioni sul sionismo da parte della comunità ebraica tedesca?
Non penso che nessuno della comunità ebraica in Germania mi conosca personalmente… In ogni caso, credo che la comunità ebraica tedesca abbia molte difficoltà con queste prese di posizione, in particolare prese di posizione contro la singolarità della Shoah. Gli fa molto comodo accusare esclusivamente la Germania. Le loro scuole trovano fondi, ogni loro progetto viene sostenuto solidamente da ogni partito tedesco… È molto comodo così. Disturberebbe molto se qualcuno saltasse su e dicesse, “non bisogna chiedere perdono per la Shoah solo per quanto riguarda gli ebrei ma anche per tutti coloro che hanno sofferto per il razzismo”. Prova a paragonare il budget della Comunità ebraica tedesca con il budget della Comunità Rom oppure la Comunità islamica… È una vergogna. E il fatto che per la smania dei capi della Comunità ebraica tedesca non si è rinunciato al monopolio della “colpa tedesca” porterà alla fin fine a maggior antisemitismo. Le persone sono stanche, c’è una natura corrotta.
Vuoi dire anche qualcos’altro prima di terminare la nostra intervista?
Vorrei far notare che non troppi anni fa, in termini storici, settanta o ottant’anni fa, il mondo ebraico era pieno di idee e di movimenti politici. In parte sionisti, in parte non sionisti. Una volta c’era l’organizzazione Bund (“legame”), ad esempio. Una delle più grandi ingiustizie che la Germania e Israele stanno facendo oggi agli ebrei è quella di diffondere un unico diffondere solo un unico parere ebraico nel mondo. Come se non potessimo pensare in termini non nazionalisti. E come se tu dicessi che tutti gli italiani la pensano “Forza Italia.” Questa è un’affermazione razzista. Il mondo ebraico ha bisogno di far ricrescere diversità politica all’interno di esso e ha bisogno che (capisca che) il sionismo degenera quando elimina i suoi avversari, sfrutta la Shaoh e il resto del mondo. Persino anche nelle le espressioni tedesche attuali “antisionista” significa “antisemita,” come se “sionista” e “ebreo” fossero la stessa cosa.
Questo fenomeno è pericoloso anche dal punto di vista pratico visto che Israele e la Germania (e l’Occidente) mescolano volutamente i termini “ebreo”, “Israele” e “sionismo”. Penso che sia un’ipocrisia pericolosa se questi termini, “ebreo” e sionismo, “non vengono tenuti separati e se Israele continuerà ad agire violando i diritti umani, bombardando i quartieri residenziali e molto di più: si prevede per gli ebrei un antisemitismo di nuovo tipo.
Se il precedente antisemitismo era immediato (“odio per gli ebrei perché sono ebrei”), allora questo sarà mediatissimo. Se Israele finge di assumersi la responsabilità per gli ebrei di tutto il mondo, dovrà valutare seriamente la situazione in cui li pone…
La nostra conversazione si conclude così. Guardo un po’ sorpreso Tomer. Sapevo delle sue posizioni radicali, ma non l’avevo mai sentito parlare così esplicitamente. Non mi sarei aspettato che questo mite studente di filosofia, amante dell’Italia e fervido lettore di Hegel, Benjamin e Platone, potesse essere animato da convinzioni così risolute e forti. Ci salutiamo con un abbraccio e ci diamo appuntamento alla prossima lettura comune di filosofia, visto che a volte l’astrazione offre un tenue asilo dalle brutture del mondo.
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Federico Dal Bo
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