di Claudio Pisapia
Oggi gli insegnanti protestano contro il ddl ‘la buona scuola’ del governo Renzi perché dicono, in estrema sintesi, che nega l’uguale diritto allo studio, allarga le diseguaglianze sociali e dà soldi alle scuole private.
Dall’altra parte si ribatte che questo ddl prevede 100.000 assunzioni e quindi non si capisce perché i sindacati siano contrari.
Un bel dilemma. Nel frattempo monta la polemica da parte del pubblico attento a tratti che attacca gli insegnanti rei di godere di troppe ferie e, come tutti gli statali, di uno stipendio sicuro (vergognosamente basso ma in un Paese che comincia ad accettare l’idea che 800 euro al mese siano una fortuna).
In realtà tante cose stanno cambiando nella scuola, e chi è genitore se ne era già accorto ben prima di questo ultimo ddl. Più libri e più costi annuali, presentarsi a inizio anno con risma di carta da lasciare a scuola e con carta igienica al seguito, contributo volontario, edifici sempre più fatiscenti, genitori addetti al ritinteggiamento delle pareti, aule pollaio. Ultimamente ci eravamo anche accorti di questa strana figura del preside manager, intento a far quadrare i bilanci, a parlare di vision, mission e crowdfounding e a ricercare misteriose certificazioni in cui si parla di soddisfazione del cliente e dove si equipara la scuola alle aziende.
Noi italiani viviamo purtroppo da sempre in un Paese dove è difficile sapere cosa realmente stia succedendo, incredibilmente hanno sempre tutti ragione. Governo, sindacati, maggioranze e opposizione. Rivolgersi alla stampa è impresa ancora più ardua, manca quel giornalismo davvero aggressivo e indipendente che esiste per esempio negli Stati Uniti. Ma anche loro hanno ragione, in Italia sarebbe impossibile far perdere una poltrona a qualcuno solo perché si scopre che ha rubato, corrotto o fatto male il suo lavoro, al massimo gli capita di cambiare ministero o di andare al Parlamento europeo.
Del resto anche a distanza di anni non riusciamo a venirne fuori e a comprendere gli avvenimenti, a dare dei giudizi obiettivi sulle continue riforme che si sono succedute, anche se queste devastano la nostra quotidianità, cambiano le nostre prospettive e anneriscono il nostro futuro.
Di sicuro lo schema che si segue quando qualcuno decide che un settore deve essere riformato è più o meno sempre lo stesso. Si crea un allarme e si mostra l’unica soluzione ritenuta possibile da applicare immediatamente. Se ne magnificano le prospettive e grandi uomini politici del momento le spiegano a compiacenti giornalisti che le diffondono provvedendo essi stessi a dare per esempio dello ‘stravagante’ a chi cerca di portare un’opinione diversa. Negli anni se ne vedono poi gli effetti negativi, gli stessi uomini che avevano fatto le proposte cominciano a parlarne male, ma a nessuno frega più niente perché nel frattempo c’è un’altra emergenza, un altro super politico, un’altra soluzione.
La nostra recente storia dovrebbe illuminarci. Il professor Amato nei primi anni ’90 per poter attuare la svendita di aziende e beni pubblici in nome delle privatizzazioni gridava al default ed insieme al professor Prodi fecero del benessere dei cittadini la loro bandiera procedendo così indisturbati al depauperamento delle nostre risorse e facendoci digerire anche quel piccolo prelievo forzoso dai nostri conti correnti. Dopo quasi trent’anni siamo tutti qui a constatare quanto benessere abbiamo ottenuto dalle decisioni di quei salvatori della Patria.
I professori Andreatta e Ciampi, qualche anno prima, avevano deciso, sempre per il benessere dei cittadini, che la Banca d’Italia non dovesse più fare il suo lavoro di prestatrice di ultima istanza e questa decisione regalò in una decina di anni qualcosa come mille miliardi di attuali euro ai grandi investitori sotto forma di interessi pagati con le nostre tasse, complice ovviamente anche il sistema di cambi fissi dovuto all’ingresso nello Sme, altra decisione le cui conseguenze furono pagate sempre dai cittadini a caro prezzo.
Dell’ingresso nell’euro, che ci doveva salvaguardare dalle speculazione e far godere di benessere diffuso e occupazione, non parlo perché siamo ancora sulla scena del delitto ma sempre il professor Amato che ne fu uno degli artefici ha tranquillamente dichiarato che ‘non poteva funzionare’.
In tutto questo qualcosa però manca, un nemico da consegnare all’opinione pubblica. E poteva mai essere qualcuno di quelli che avevano preso le decisioni che ci hanno portato ad una disoccupazione a doppia cifra e alle aule pollaio? Suvvia, siamo in Italia.
E allora il nemico viene reso visibile a tratti e a seconda delle convenienze. Prendiamo ad esempio la corruzione, sempre presente ma un po’ aleatoria, onirica, che non è mai rappresentata da qualcuno di così reale e definitivo da poterlo portare in un’aula di tribunale e scrivere la parola fine. La corruzione è qualcosa da invocare quando serve (il debito pubblico è causato dalla corruzione!), da mettere poi da parte e ritirare fuori al bisogno. Molti degli arrestati per tangenti e corruzione per il caso Expo erano gli stessi processati nel ’92 dai famosi magistrati di Milano. Poi dimenticati e riapparsi e che dimenticheremo di nuovo salvo poi magari ritrovarli, che so, all’organizzazione di future olimpiadi.
Oggi però la crisi è veramente pressante e allora ci vuole anche altro. La soluzione arriva grazie all’opera meritoria dei professor Monti e Fornero (e governi successivi) che li hanno individuati e sottoposti alla pubblica gogna.
I troppi diritti, in particolare quelli dei dipendenti pubblici (i famosi fannulloni di Brunetta), degli insegnanti, dei pensionati, degli operai tutelati dall’articolo 18.
Non quelli di parlamentari, governanti, detentori di tre o quattro pensioni di Stato, alti dirigenti spostati all’occasione da un’amministrazione pubblica all’altra. Non quelli che gestiscono da vent’anni il debito pubblico ma non si possono spostare ad altro incarico. Chi fa derivati ma non se ne assume le responsabilità o chi fa collaudi di autostrade telefonicamente. Magari Parlamenti costituzionalmente illegittimi o chi abbandona tutori della legge a se stessi. Certo che no! Questi sono affari di cui al massimo si può occupare Report o Presa Diretta e ci fanno indignare per quel paio di ore di durata della trasmissione. Di costoro i nostri politici parlano un po’, perché è necessario, e poi mettono da parte per dedicarsi a qualcosa di più serio.
I troppi diritti da umiliare sono quelli dei lavoratori ai quali bisogna diminuire la pausa da quindici a tredici minuti perché bisogna aumentare la produttività per poter competere di più in un mercato libero e globalizzato. Quindi il nostro operaio deve avere gli stessi diritti e lo stesso ritmo di produzione di un operaio cinese altrimenti siamo penalizzati. Mi verrebbe da chiedere, ma penalizzato chi?
Viviamo in un sistema per cui ci sembra giusto che i diritti non vadano estesi ma tolti, ad esclusione dei privilegi ovviamente. E così dopo l’articolo 18 si passa allo statale. Troppe ferie, troppi diritti, troppo di tutto. Gli insegnanti guadagnano troppo, lavorano poco e vanno puniti. Poco importa se sono quelli che danno un’istruzione ai nostri figli. Poco importa se per farlo sono costretti a rincorrere strani parametri europei in aule spesso fatiscenti e con 28 alunni dove diventa un’impresa anche un’interrogazione.
L’attenzione viene spostata. Il problema non è dare alla scuola una dignità, un valore universale o di assicurare ai nostri figli il diritto fondamentale di avere un insegnamento di eccellenza, di eguaglianza, pubblico, garantito, libero. Non si discute di dare agli insegnanti gli strumenti giusti per svolgere al meglio il loro lavoro, non ci si indigna per le aule o le scuole indecenti fino a quando non casca un soffitto in testa a qualche sfortunato ragazzo.
Nel nostro caso l’obiettivo è andare oltre la scuola pubblica, oltre l’ossessione che l’istruzione debba essere assicurata a tutti. Quindi si tagliano i fondi e le assunzioni (quelli che Renzi vuole assumere sono imposti da una Corte europea, ma lui li vuole assumere con meno diritti) e conseguentemente si ammassano alunni nelle aule, aumentano le spese per i genitori sotto forma di contributi volontari, carta igienica, fogli per fotocopie. Poi si introducono i presidi manager che cominciano a dare l’idea del privato e genitori e ragazzi che diventano clienti per le certificazioni di qualità. E alla fine si comincia a pensare che il privato sia meglio, volontariamente.
In maniera ancora più chiara, la scuola pubblica è una spesa per uno Stato che deve fare il pareggio di bilancio, la si fa diventare una spesa esosa anche per i genitori e di bassa qualità. Poi si dà la soluzione, cioè la scuola privata. Quindi il risultato sarà, ancora una volta, che qualcuno ci guadagnerà tanto mentre la maggioranza ci rimetterà di più. Del resto quale privatizzazione ha portato dei benefici al comune cittadino?
E in tutto questo gli insegnanti che fanno? Osano addirittura scioperare! Protestano… Dall’alto dei loro lauti stipendi, tra l’altro sicuri, e dei loro troppi giorni di ferie. Protestano, scioperano e lasciano pure il problema di dove piazzare i figli a quanti invece dovrebbero correre per andare a produrre, perché il nostro Paese sia più competitivo sui mercati globali.
A questo punto forse un’altra riforma si rende necessaria per il nostro benessere futuro. Mettere mano al diritto di sciopero!
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