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Ferrara film corto festival

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La cantante Mercedes Sosa, argentina quanto l’attuale papa Francesco, cantava che “Todo Cambia”, raccontando la speranza che alberga nell’idea e nella realizzazione del cambiamento e l’ineluttabilità dello stesso, che è una caratteristica della crescita. Cambia anche la Chiesa? Con fatica, come lo stesso pontefice ha avuto modo di dichiarare alla stampa internazionale – ma qualcosa cambierà, spinta dal Sinodo ordinario sulla famiglia appena conclusosi.
Per i cittadini atei, gli agnostici, quelli che vivono la religione dietro un “mi hanno insegnato che si va a messa la domenica”, le risposta del sinodo alla richieste della famiglia contemporanea non portano alcuna novità, né particolari motivi di riflessione. Ma mentre il vescovo di Ferrara resta in attesa delle direttive del suo pontefice e vieta ogni iniziativa ai suoi sacerdoti fino a nuovo ordine, il segnale di apertura verso le esigenze dei cattolici separati o conviventi incide sulla vita di quanti – fra questi – hanno fede, la coltivano nel tempo rendendola una strada da percorrere.

“Spieghiamoci bene, quello che il Sinodo ha suggerito e che sarà papa Francesco a dover convalidare, dando poi le direttive perché certe azioni si realizzino, non è una riammissione generale ai sacramenti di persone che vivono situazioni così dette irregolari: separati, divorziati, risposati. – ha specificato don Giacomo Falco, parroco di Pontegradella – L’Assemblea del Sinodo, che per inciso è la dimostrazione che nella Chiesa si parla e si discute al contrario di quanto spesso si possa pensare, ha cercato e proposto un’apertura pastorale diversa dal solito alla questione ma non ha certo scardinato la dottrina cattolica sul matrimonio. C’è adesso uno stato di attesa, sarà il pontefice a indicare la strada da percorrere. Sta di fatto che la Chiesa prende atto di qualcosa che già esiste nel suo popolo, lo aveva cominciato a fare papa Wojtyla, dicendo che per amore di verità si doveva entrare nella storia della coppia, lo abbiamo fatto noi sacerdoti per tanto tempo attraverso tanti percorsi di mediazione pastorale. Per le persone che hanno coscienza della nullità del proprio matrimonio o che hanno intrapreso un cammino di conversione, l’idea di potersi riavvicinare ai sacramenti è una speranza che io condivido”.

L’idea del percorso da fare assieme ricorre nei pareri di tante persone separate o divorziate che aspettano che la Chiesa tenda loro la mano. In realtà la parola sinodo deriva da tue termini del greco antico ‘syn’ e ‘odos’ che tradotte letteralmente significano proprio ‘strada comune’, quella che l’assemblea ecclesiastica ho dovuto cercare per proporre delle soluzioni a certi problemi.
“Quando io e mio marito abbiamo deciso di separarci eravamo al termine di un lunghissimo periodo di compromesso. – ha raccontato Lia, 53 anni – Il nostro matrimonio, fondato su un grande amore, affetto reciproco, stima, rispetto, nel tempo si era dissolto e in meno di 10 anni di convivenza ci siamo ritrovati cambiati, diversi. A un certo punto abbiamo smesso di essere una coppia, rimanendo però genitori, amici, fratello e sorella sotto lo stesso tetto. La fede ci ha aiutati a portare la nostra barchetta in porto e quando i ragazzi sono andati via di casa, abbiamo capito che era arrivato il momento di separare le nostre quotidianità, io in una casa, lui in un’altra. In questo cammino ci ha seguiti un sacerdote per il quale è sembrato chiaro che, affinché le sue due pecorelle smarrite non perdessero definitivamente la strada, l’unica via era la separazione. Per me, che credo profondamente in Dio e che ho scelto di seguire la strada indicata dalla sua parola, non è stato facile. Per niente. Non abbiamo mai parlato di divorzio, quel vincolo di unione è un salvagente che mi riporta a quello che ho deciso di essere, ma non mi sono mai avvicinata all’altare durante la distribuzione dell’eucarestia, in chiesa, perché mi sentivo di aver tradito Cristo… Essere riammessa ai sacramenti per me sarebbe una festa: prego e ho sempre pregato ma per me essi sono il simbolo dell’unione con il sacro, sono felice che ci si dia la possibilità di riavvicinarci così alla famiglia della Chiesa, per continuare a seguire il nostro percorso assieme agli altri”.

“Onestamente? Io sono credente e divorziato, la mia ex moglie ha voluto sposarsi con un altra persona, sento che quella strada che avevamo deciso di intraprendere non esiste più, e senza la mia compagna e questa strada io non sono interessato a essere riammesso alla comunione – ha commentato Giorgio, più integralista -. Ho fallito, come marito e come cristiano, ognuno di noi conosce la sua storia e sa dove ha sbagliato, alla luce di questo io sento che non sono degno di essere ammesso. Certo, magari c’è gente che ha storie diverse dalla mia ma per me, se non sei stato un buon cristiano quando avresti dovuto, devi restare fuori”.

“Dal Sinodo sulla famiglia ci si aspetta che sia coerente con quel tesoro della fede e della rivelazione che ha generato la Chiesa stessa e la invia ogni giorno ad ogni creatura. In forza di questo, e non per altra strada, la Chiesa è sempre attuale, madre e maestra in umanità. Non si tratta quindi di un processo di adattamento alle situazioni del momento ma di attingere a quella Verità personale che illumina la vita dell’uomo e che risponde anche alle contingenze ma perché le precede e le supera – ha spiegato don Massimo Manservigi, direttore de La Voce di Ferrara-Comacchio, settimanale della diocesi ferrarese –. In realtà la Chiesa è vicina non da ora alle problematiche che attualmente coinvolgono la famiglia – lo dimostra il Sinodo stesso riproponendo la profetica esortazione apostolica “Familiaris Consortio” di San Giovanni Paolo II, che risale al 1981 – ed ha in sé anche gli strumenti per rispondere adeguatamente alle sfide attuali. Sono sicuro che i padri sinodali, guidati dal Santo padre, non hanno mai abbandonato questa convinzione. Come ha ricordato il nostro arcivescovo, restiamo fiduciosi in attesa delle decisioni di papa Francesco”.

Nota: i nomi dei testimoni sono fittizi, in rispetto alla volontà di privacy degli interessati

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Ingrid Veneroso


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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