L’INCHIESTA
Rimborsi per il sisma, anche le banche tirano il freno
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2.SEGUE – Superato in Comune l’esame della richiesta di rimborso per i danni del terremoto, balena all’ingenuo cittadino l’illusione di poter avere finalmente i soldi. Errore. C’è ancora da aspettare. La via crucis delle nostre pratiche, infatti, oltrepassata la prima stazione del calvario, approda allo scoglio delle banche. E anche gli istituti di credito ci mettono la loro arte. Dal momento in cui ricevono dal Comune le somme, al momento in cui ne prendono atto possono passare vari giorni, subito – poverine – subissate come sono di incombenze non ce la fanno a prenderne atto. Poi pigramente informano il creditore che i soldi sono arrivati: in tesoreria (o all’ufficio mutui e finanziamenti secondo i casi). A quel punto, dalla sede centrale devono passare alla filiale. Hai voglia… Sembra uno scherzo invece trascorrono normalmente otto-dieci-quindici giorni. D’altronde i soldi non hanno le gambe e da soli non camminano. Peraltro le banche (tutte) si giovano di uno splendido (per loro) machiavello inventato dalla Regione: i creditori si pagano solo al 10 oppure al 25 del mese. La giustificazione ufficiale è che si procede per pacchetti di pratiche, il che non impedirebbe però la possibilità di liquidare le spettanze negli altri giorni, ma questo è stato deciso e così va la storia.
Così, se “disgraziatamente” i soldi arrivano in filiale l’11, sino al 26 “purtroppo” non possono essere erogati. E questo ‘casuale’ inciampo forse ci fa capire la ratio del grimaldello… I malpensanti immaginano che le banche lucrino sulla liquidità e sui relativi interessi. “Ma non è così – obietta Alvaro Barbieri, responsabile mutui e finanziamenti di Carife – perché anche se la pratica è conclusa noi non abbiamo mai soldi in giacenza: la Cassa depositi e prestiti ce li rende disponibili solo in prossimità delle scadenze di pagamento. In banca restano tutt’al più due o tre giorni e noi non tocchiamo nulla. Certo lucrare sui capitali per le banche sarebbe vantaggioso, ma questo non accade”. Così assicura il responsabile Carife.
Anche le banche però entrano nel merito e vanno a ricontrollare i conti del Comune. “Se anche ci fosse la differenza di un centesimo io non posso pagare”, sostiene l’inflessibile Barbieri. Evidentemente la storia del centesimo non dev’essere un modo di dire, perché proprio di pagamenti bloccati perché nei conti “non tornava un centesimo” si aveva parlato con sconcerto l’architetto Marco Vanini, responsabile dell’ufficio sisma del Comune.
E infine, ultima chicca, per ricevere i soldi non è sufficiente avere un normale conto corrente nella filiale di destinazione. Ci vuole un “conto dedicato”. “Al cliente non costa nulla – spiega Barbieri -. In tutta questa faccenda le banche non ci guadagnano proprio niente”. Molti funzionari (e direttori) consigliano ai creditori di aspettare ad aprire questo “conto tecnico” fino a che non ci sono i soldi (“tanto che fretta c’è”), così capita magari che al termine dell’odissea descritta, quando il malloppo giunge a Itaca manca il salvadanaio. Ma ormai, fatto trenta… E passa qualche altro giorno, ma che vuoi che sia.
La morale di questa edificante italica vicenda può trarla ciascuno di noi.
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Sergio Gessi
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