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In Italia esistono circa 3.847 musei, gallerie o collezioni, 240 aree o parchi archeologici e 501 monumenti e complessi monumentali. Un comune su tre ospita almeno una struttura a carattere museale, abbiamo in media un museo, un’area archeologica o una galleria ogni 13.000 abitanti. Nel 2014, secondo i dati del ministero, i luoghi di cultura italiani che occupano le prime 10 posizioni nella classifica di presenze hanno collezionato più di 16 milioni di visitatori per un introito complessivo di circa 95 milioni di euro. Un settore che per fatturato e occupati non è secondo ad alcune aree della piccola e media industria né ad altri comparti del pubblico impiego.
Se, almeno in potenza, il nostro patrimonio culturale è quello che qualcuno definisce il nostro petrolio, non dovrebbe sorprendere che esso sia sostenuto, sospinto verso il successo e – in certi ambiti – anche regolamentato.
In particolare, dall’inizio di novembre, è regolamentato il diritto allo sciopero dei lavoratori del settore secondo le stesse regole dei lavoratori di comparti essenziali come la sanità e il trasporto pubblico.
A disciplinare la questione il decreto legge n. 146 del 20 settembre scorso, chiamato Decreto Colosseo, arrivato con carattere di urgenza a seguito di un’assemblea sindacale dei lavoratori del monumento capitolino che avrebbe bloccato il flusso dei turisti al monumento creando pesanti disagi.

Il tamtam mediatico ha fatto sì che tanto l’allora sindaco di Roma, Ignazio Marino, quanto il ministro alla Cultura Dario Franceschini abbiano ritenuto opportuno intervenire. Il decreto inserisce i servizi culturali nella disciplina del diritto allo sciopero dei servizi indispensabili, richiedendo obbligatoriamente la comunicazione alle imprese o amministrazioni che erogano il servizio dell’intenzione di assemblea o sciopero almeno 10 giorni prima dell’astensione. La comunicazione del preavviso deve contenere la durata, le modalità di attuazione e le motivazioni dell’astensione collettiva dal lavoro; essa dovrà inoltre essere indirizzata anche alla ‘Commissione di Garanzia dello Sciopero nei Servizi Pubblici Essenziali’ che si esprimerà sulla legittimità dello stesso, potendo eventualmente anche decidere la sospensione o il differimento dell’astensione e arrivare anche alla precettazione dei lavoratori interessati, nel caso di effettuazione dello sciopero. In caso di violazioni saranno applicate sanzioni di natura pecuniaria e disciplinari per le associazioni sindacali, i responsabili delle imprese erogatrici e per i lavoratori.
In questo modo, il Ministro Franceschini ha cercato una soluzione rapida per ovviare all’eventualità di “figuracce” con le frotte di turisti e visitatori che si trovano, di quando in quando, a dover girare i tacchi e rinunciare alla visita programmata a questo o quel sito: conoscendo con anticipo le date e le modalità di astensione si avrà il tempo necessario per comunicare la possibilità di disagio all’utenza.
Lo stesso Franceschini ha spiegato che la scelta del decreto legge è stata obbligata “perché c’erano caratteri di urgenza e necessità”, mentre il premier Renzi aveva aggiunto che “con questo decreto legge non facciamo nessun attentato al diritto allo sciopero ma diciamo solo che in Italia, per come è fatta l’Italia, i servizi museali sono dentro i servizi pubblici essenziali.”, raccontando anche di aver incontrato in treno dei turisti stranieri che si sarebbero lamentati di non aver potuto visitare dei monumenti perché chiusi per sciopero.

Le critiche giunte dagli stessi lavoratori del comparto e da parte dei sindacati non si sono fatte attendere. La Fondazione Studi consulenti del lavoro ha redatto un approfondimento secondo il quale il decreto Colosseo non garantisce a sufficienza i lavoratori, mentre l’Unione Sindacati di Base (Usb), in una nota alla stampa, ha protestato contro l’idea che i lavoratori dei Beni culturali italiani siano stati indicati come rei di “leso diritto del turista” e che il Governo non avrebbe convocato l’Usb, che pure è formalmente rappresentativa nel Pubblico Impiego, per sopire qualsiasi accenno di conflitto sociale, anche latente, che avrebbe rischiato di mettere in crisi gli equilibri tra Governo, maggioranza pd e Confindustria.

Che la questione sia politica o meramente di ordine gestionale, a quanto pare il caso italiano è un unicum, almeno nel vecchio continente. In Europa, infatti, il diritto di sciopero dei lavoratori del settore della cultura non è sottoposto ai paletti presenti adesso in Italia. Benché si narri sempre dell’efficienza dei siti stranieri, solo nello scorso anno la National Gallery di Londra (seconda meta d’arte più visitata della Gran Bretagna con circa 6 milioni di ingressi l’anno) ha chiuso totalmente o parzialmente ai visitatori per 50 giorni; nella scorsa primavera la Torre Eiffel e il Louvre sono stati chiusi al pubblico in diverse occasioni per l’adesione del personale ad uno sciopero generale e a manifestazioni estemporanee contro il proliferare di borseggiatori nelle code; il Musée d’Orsay – era il 1999 – a causa di un’agitazione sindacale ad oltranza lasciò fuori circa centomila visitatori, mentre in Spagna nel 2012 i dipendenti de la Alhambra di Granada, dei musei e dei teatri di Madrid e di altre città iberiche fermarono all’ingresso migliaia di turisti senza alcuna forma di preavviso per richiedere la revisione dei contratti.

Nei musei di questi Paesi arrivano in media il doppio dei visitatori che pagano il biglietto d’ingresso nei musei italiani. A quanto pare, la corretta gestione della comunicazione da parte delle istituzioni culturali dei Paesi stranieri scongiura la diserzione dei visitatori dai siti più ambiti e amati. A quanto pare, i servizi del comparto culturale e turistico offerti all’estero sono migliori di quelli offerti nel nostro Paese, se i turisti delusi dalla chiusura per sciopero tendono a tornare sul sito per recuperare l’occasione perduta e non si dilettano oltre il dovuto nel lamentare le mancanze riscontrate alle persone che incontrano, fosse anche il primo ministro italiano. A quanto pare, i Paesi che hanno scelto di riconoscere ai musei autonomia gestionale e finanziaria, pur lasciandoli nell’ambito dei servizi statali – in primis Francia, Germania e Spagna – è stata colta, in tempi diversi e con modalità differenti, un’occasione importante per sostenere e sospingere il loro stesso successo e la formazione di un’opinione pubblica che si riconosce nelle istituzioni culturali del proprio Paese.

“Siamo in una fase di transizione importante per il sistema museale italiano. – ci ha spiegato Anna Stanzani, ex direttrice della la Pinacoteca Nazionale di Ferrara ora è incaricata al Museo dell’età neoclassica di Faenza e a Ravenna, al Mausoleo e Palazzo di Teodorico – La problematica è complessa: il “decreto Colosseo” nasce dalle difficoltà correnti del sistema. Se i lavoratori, che peraltro avevano regolarmente richiesto e ottenuto il permesso di riunirsi, fossero stati regolarmente pagati non avrebbero indetto alcuna assemblea. Partiamo dal presupposto che i nostri musei mancano di personale, personale qualificato e risorse economiche. La riforma dei musei proposta da Franceschini, che prevede il conferimento di autonomia a 20 musei e istituzioni culturali italiani, va nel senso delle riforme dei musei europei. Sarebbe un passo importante verso la responsabilizzazione dei direttori, degli organi di gestione delle strutture e delle istituzioni ma, mi ripeto, sarebbe auspicabile che alla responsabilità si affianchino delle risorse”.

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Ingrid Veneroso



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