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Una volta passava quasi ogni mattina al strazar, lo stracciaio (a Bologna era chiamato, chissà perché, al sulfaner, il solfanaio) e il suo grido riempiva tutta la strada: “a gh’è al strazar donn!” , che traduceva subito “stracciaio!”: è una delle tante figure scomparse, sostituite da aziende più organizzate, ma quel richiamo, ricordo rauco, assieme a quello dell’uomo che vendeva il ghiaccio, “ghiaccio” urlava in tono perentorio, sono rimaste infisse indelebilmente nella memoria di chi un giorno fu giovane: e, tuttavia, il mestiere è rimasto, anzi è diventato una categoria sociale, o, meglio, politica. Oggi c’è chi si definisce “rottamatore”, ma io preferirei chiamarlo ancora stracciaio. Bisogna cambiare, dicono tanti e lasciano tutto così com’è, è più comodo urlare e non far nulla.
Per capire che cosa sia rimasto dell’antico mestiere sono andato in una laterale di via Bologna a cercare tracce di ciò che è stato buttato via: è uno degli ultimi rottamatori, non solo di auto, ma pure di altri oggetti, che la gente non vuole più, anni fa qui trovai un bellissimo cancelletto di ferro battuto per la villetta a schiera che avevo comprato ai lidi. Posso guardare? Ho chiesto al titolare, un signore molto cortese. Faccia pure, ha risposto e così ho cominciato a rovistare tra vecchi mobili ormai macerati dalla pioggia, testate in ferro di letti dei nostri nonni, valige, borsoni e tutta una cianfrusaglia di roba inservibile finché il mio sguardo si è posato su un mucchio di libri buttati lì e ho preso a scartabellare. I primi volumi che mi sono capitati in mano un “Sandokan alla riscossa” di Emilio Salgari, un libro “rosa” per attempate signorine in perenne attesa dell’amore, un romanzo della Deledda e, infine, sotto il mucchio, “Il capitale” di Marx e poi le “lettere dal carcere” di Gramsci, lo storico numero uno di “Ordine Nuovo”, firmato dallo stesso Gramsci con Terracini ,Tasca e Togliatti, i “Canti orfici” di Dino Campana, altre raccolte poetiche di scrittori anche recenti ma dimenticati: guardai stupefatto: “Ah – mi spiegò il titolare che seguiva con attenzione la mia ricerca – tutta roba ormai obliterata”, dimostrando una sapiente conoscenza della lingua. Perché obliterata?, chiesi: “roba dimenticata – rispose – cancellata. Devo sempre portare questa carta inutile al macero ma non ho mai tempo”. Ma perché?, insistei: “la gente vuole cose nuove, ma non ha idee e così butta via tutto, oblitera. Guardi qua, questo sacco contiene le idee da gettare, da rottamare”. Presi in mano il sacco nero della spazzatura, era pesantissimo. E dove le butta?, mi informai. “non so ancora – rispose noncurante – l’importante è rottamare”.

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Gian Pietro Testa

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