Il dilemma tra l’essere ignorante e l’essere colto è questione vecchia come il mondo se persino gli egizi ne discutevano. Il fatto è che dai tempi che furono a pochi decenni fa l’ignoranza della gente semplice era un fatto, come dire, fisiologico. La gente, il popolo, non poteva accedere alla conoscenza semplicemente perché la conoscenza era appannaggio di pochi privilegiati. La cultura, lo studio dei fenomeni naturali, delle arti, delle scienze e della filosofia, era pratica consentita solo agli abbienti e ai potenti. E se studiare era roba da ricchi, lo è stata fino all’altro ieri. Almeno finché l’inesorabile avanzare del progresso sociale e della tecnologia non ha consentito a tutti di potervi accedere.
È ormai assodato come la cultura permetta all’uomo di comprendere meglio i meccanismi complessi che muovono il mondo attorno a lui. E certamente un popolo più colto e consapevole sarà senz’altro meno controllabile e manipolabile da chi detiene il potere. Per questo la cultura dovrebbe considerarsi, oltre che un traguardo individuale, una conquista sociale volta all’emancipazione.
È infatti la conoscenza l’unica vera arma dell’individuo, ciò che lo rende intimamente libero e sufficientemente preparato a difendersi dagli eventuali trabocchetti del potere.
Ma allora perché, in un’epoca come quella attuale, in cui la conoscenza è diventata accessibile a tutti, c’è ancora chi si ostina a snobbarla, a vantarsi persino della propria incultura?
Oggi non si tratta più di impossibilità ma di rinuncia consapevole. E chi rinuncia scientemente alla conoscenza e alla cultura non può più essere considerato soltanto un semplice ignorante ma un vero e proprio imbecille!
“La vera saggezza è meno supponente della stupidità. L’uomo saggio dubita spesso, e cambia la sua opinione; lo stupido è ostinato, e non ha dubbi; egli conosce tutte le cose ma non la sua stessa ignoranza.”
Akhenaton
Una quotidiana pillola di saggezza o una perla di ironia per iniziare bene la settimana…
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Carlo Tassi
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