Era piaciuto a Milano, lo scorso dicembre, prima ancora a Venezia e Roma Tiburtina, è piaciuto ora a Torino (che lo vuole lì, a Porta Nuova, sempre) e si appresta a calcare altri palcoscenici affollati delle grandi stazioni ferroviarie italiane. E’ lui, il pianoforte solitario, libero, messo a disposizione dei passanti, di chiunque voglia imprimere qualche nota che possa rallegrare e addolcire la giornata di tutti, accarezzare la mente dell’altro che incrociamo casualmente, che spesso sfugge alla nostra vista e attenzione, che ignoriamo, che non conosciamo o riconosciamo. Poter dialogare in musica, in un mondo che stenta a parlare e incontrarsi, è sempre una bella idea anche se, lasciatemi fare il guastafeste, l’idea non è del tutto nuova.
Permettetemi, infatti, di dire, che arriviamo sempre un po’ tardi, ma, come direbbero i saggi, meglio tardi che mai. L’inglese Luke Jerram aveva lanciato l’iniziativa già nel 2008, e, da allora, aveva contagiato tutto il mondo. Da New York a Parigi, dal Perù all’Australia, gli “street piano” con il cartello “Play me, I’m Yours!” erano stati avvistati in oltre 45 città, e ad oggi se ne contano 1300, alcuni dei quali decorati da artisti locali. Sono stati installati in parchi, giardini, mercati, strade, piazze, traghetti. Io ne ho visti di bellissimi, nel maggio 2013, al Gorky Park di Mosca. Qui l’originalità era caratterizzata non solo dallo strumento libero per tutti, ma dal fatto che lo stesso era riempito di fiori. Pieno di pura energia colorata.
Lì si trovava all’entrata del parco, fra lo stupore dei passanti, ma anche fra le sue stradine affollate di bambini, turisti o moscoviti che la domenica qui si rilassano. Se poi si passeggiava nel bosco vicino al Gorky, il parco Naskuchniy che ne costituisce la naturale continuazione ma che assomiglia a una vera e propria foresta nella città (con tanto di sentieri segnalati), si trovavano pianoforti persi in esso, nascosti dietro un albero, dietro piante e cespugli, che apparivano dal nulla e quasi miracolosamente, solo per diffondere musica. Facevano capolino dai rami e chiamavano tutti, senza distinzione. Bastava accomodarsi, strimpellare, se non si era suonatori provetti, o percorrere seriamente le tastiere delicate, se si era bravi pianisti.
L’importante era diffondere musica e dolcezza, trasmettere solo note ai passanti ignari che, in un attimo, si trovavano immersi in melodie degne di film romantici d’altri tempi. Vi era musica classica, nell’aria, moderna, jazz o rock, ognuno trovava il suo spazio e il suo momento. Mi era piaciuta quell’idea di donare musica, di condividere con la natura e gli uomini che ne fanno parte un’armonia spesso perduta e che lì si ritrovava, tutti insieme, all’unisono. Un coro unico, finalmente. I fiori, poi, che uscivano dai pianoforti come dolci sorprese inattese, accompagnavano i suoni con il loro profumo intenso e i loro colori. Perché c’era armonia, anche solo per un attimo, e una comunità unita parlava la stessa lingua, quella della musica. Mi piacerebbe vedere tutto questo, sempre di più, è perché no anche nel nostro bel Parco Massari…
Fotografie del Gorky Park di Simonetta Sandri, maggio 2013; la prima fotografia di copertina è presa dal web, Stazione di Torino Porta Nuova, Febbraio 2015.
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Simonetta Sandri
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