Questo il titolo della conferenza tenuta a Massa Fiscaglia di Ferrara il 7 dicembre scorso al “Circolo Ragno Azzurro” organizzata dal Gruppo Cittadini Economia della provincia di Ferrara con l’intervento di Gianni Belletti della Comunità Emmaus.
L’incontro chiudeva una serie di quattro serate, tutte organizzate a Massa Fiscaglia, in cui il Gruppo ha invitato la popolazione a discutere su fenomeni assolutamente attuali e che indubbiamente coinvolgono tutti a vario titolo: tasse, debito pubblico, disoccupazione e, appunto, migranti. Un invito all’informazione senza distorsioni con il chiaro intento di diffondere la sana pratica della partecipazione dal basso.
“Il migrante non è né un potenziale delinquente né un potenziale deficiente”, dice il relatore, si muove in prospettiva di un potenziale miglioramento e se ne avesse la possibilità, dopo averne verificato l’impossibilità, sarebbe di sicuro disposto a ritornare alle sue relazioni e al suo territorio.
Partendo da questo presupposto si sono analizzate quali sono ad oggi le possibilità di spostarsi e di viaggiare delle popolazioni. Necessario e dovuto il richiamo alla “dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” del 1948 e in particolare degli articoli 13 e 14 che sanciscono la libera circolazione delle persone.
Articolo 13
1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato.
2. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese.
Articolo 14
1. Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni.
2. Questo diritto non potrà essere invocato qualora l’individuo sia realmente ricercato per reati non politici o per azioni contrarie ai fini e ai principi delle Nazioni Unite.
Gianni tiene a citare anche l’art. 15 che parla di cittadinanza, perché la cittadinanza è l’aspirazione finale per tutti coloro che si spostano in altri Paesi e che trovano poi il modo di costruirsi delle nuove relazioni in un nuovo posto dove vivere. Questo argomento, oltremodo interessante, trova però poco spazio nella serata e forse merita una trattazione a parte, insieme all’analisi del fatto che in Europa ci sono ben 700.000 persone senza cittadinanza, 3.500.000 addirittura nel mondo.
Ma torniamo al diritto alla libera circolazione. A chi è riservata questa possibilità nel concreto? Un cittadino italiano, ad esempio, è libero di chiedere un visto ed andare dove desidera senza troppe complicazioni. Non è permesso il contrario, per cui un cittadino africano o asiatico, ovviamente di un paese povero o solo nominalmente ricco, non ha le stesse possibilità ed è costretto ad intraprendere viaggi molto pericolosi attraverso deserti, mari e pericoli vari oltre che ad indebitarsi di cifre a volte esagerate e di difficile restituzione per poter arrivare in Italia.
Una volta arrivato, il passo successivo è la richiesta di asilo politico. Sembra incredibile, dice il relatore, ma l’unico modo attualmente riconosciuto per poter rimanere nell’Unione europea è appunto quella di presentare domanda di asilo politico, e negli ultimi 3 anni ne sono stati presentate in Italia 170.000, semplicemente perché è l’unica opportunità che queste persone hanno a disposizione, non c’è altro modo per poter restare.
Presentata questa domanda si apre la “pratica”: dovrà essere formata una commissione che tenga conto del luogo di origine, della lingua parlata dal richiedente e ovviamente del caso presentato. Di media, perché si venga poi convocati da questa commissione, il richiedente dovrà attendere circa 15 mesi. Ad un eventuale esito negativo questi potrà eventualmente presentare ricorso e avere una successiva udienza entro un anno. Insomma per ogni richiedente asilo ci vogliono due anni almeno perché tale “pratica” possa essere chiusa.
Altro tipo di visto che può essere concesso è quello della protezione sussidiaria, che riguarda coloro che hanno una relazione con la persona a cui è già stato riconosciuto l’asilo politico e che potrebbe essere in pericolo a causa di questa relazione.
L’Italia ha aggiunto una terza possibilità, la protezione umanitaria. Viene concesso, solo per fare un esempio di particolare impatto, a quelle donne vendute più volte nel corso degli anni, fatte prostituire e rese schiave dagli sfruttatori e che difficilmente potrebbero più tornare nei paesi di origine. Anche ai tunisini che sono arrivati in Italia a seguito delle “primavere arabe” è stato concesso un visto con questo presupposto.
Cosa succede nel mezzo? Lo Stato italiano ha ceduto l’accoglienza ai privati per cui chi ne facesse richiesta e avesse i requisiti idonei a fare questo tipo di accoglienza riceverà 33 euro al giorno, di cui 3 vanno al migrante e 30 alla cooperativa o società che accoglie. A questo punto si prefigurano due scenari che normalmente sono quelli che vediamo realizzarsi: il migrante, non essendo un potenziale deficiente, sa che non ha bisogno di lavorare o impegnarsi a farlo perché c’è chi riceve dei soldi per la sua assistenza; riceve i suoi 3 euro con i quali non ci fa niente e abbandonato a se stesso nel giro di qualche mese dopo le dichiarazioni di sindaci e prefetti iniziali di amore e accoglienza, comincia a dedicarsi all’accattonaggio per i due anni di attesa e magari ad altro dopo. Questo perché ricordiamo, c’è un debito iniziale da saldare per il viaggio e anche una dignità da preservare nei confronti di familiari e amici a cui avrà detto di essere partito per andare incontro ad una vita migliore.
Dire “abbandonato a se stesso” è ovviamente una provocazione, infatti lo Stato continua a pagare il conto economico alla struttura di accoglienza e quindi a dare assistenza di base al migrante, cibo e un letto. Il punto è che non si va incontro alla richiesta di fondo, al motivo per cui quella persona è qui, ovvero il miglioramento delle sue condizioni di vita, lavoro e dignità. Non le affronta come non affronta la richiesta, simile, dei suoi cittadini e per questo provoca reazioni inconsulte e spropositate sia della popolazione residente che straniera.
Ma in mezzo c’è ancora altro, ovviamente. Gianni ci racconta che la Comunità Emmaus di Palermo certifica che molti migranti, poi magari clandestini, vengono reclutati a 0,70 centesimi all’ora e questo crea un mercato del lavoro al ribasso. Gente disposta a lavorare “per un tozzo di pane” e che crea una specie di classe degli ultimi, dietro i disoccupati e i disperati italiani. Quasi un ammortizzatore verso la nostra ultima classe sociale che dovrebbe quasi trovare confortante il sapere che c’è qualcuno al di sotto della loro disperazione.
Il dibattito è stato ampio e la conferenza si è immediatamente trasformata in partecipazione collettiva. Le provocazioni vengono colta e i partecipanti a turno hanno avuto modo di esprimere le proprie opinioni, cogliendo a pieno le intenzioni dell’organizzazione, a cui vanno i complimenti, di stimolare la partecipazione attiva.
E dunque una volta descritto il problema, quali le cause e quali le soluzioni?
Si può semplificare il tutto con il tema dell’accoglienza ad esempio che fa, o ha fatto finora, il nostro governo? Giustificare o condannare posizioni come quella austriaca di Norbert Hofer o i muri dell’Ungheria? E come interpretare i fondi europei dati alla Turchia per frenare l’esodo siriano?
Di sicuro è sembrato a tutti chiaro che l’accoglienza non dovrebbe essere ceduta a privati. Quando si privatizza, in generale, si rende merce il prodotto da trattare. Quindi se privatizzo l’accoglienza rendo merce i migranti, gli esseri umani che si spostano per qualche motivo, e ne ho bisogno altrimenti non guadagno. La prima azione da fare sarebbe togliere alle cooperative e alle società private la gestione dell’accoglienza. Avere un piano di accoglienza statale e mirato teso ad evitare questa deriva uomo=merce.
Ma il punto fondamentale sarebbe la libera circolazione, ovvero permettere a tutti di accedere a quanto previsto dagli articoli 13 e 14 della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo citati all’inizio. Ogni ambasciata o consolato all’estero e ovviamente in particolare nei paesi da cui proviene la maggioranza di questi migranti, dovrebbe essere potenziato e messo in grado di vagliare le richieste di visto temporaneo per “lavoro”. Il richiedente dovrebbe dichiarare il luogo dove intende andare e considerando che tutti si spostano per raggiungere qualcuno che ha già affrontato il viaggio, dichiarare l’indirizzo presso il quale si sosterà per il periodo concesso. Impronte digitali e documenti in regola a cui si potrebbe anche aggiungere la richiesta di una caparra da restituire nel momento in cui si dovesse decidere di ritornare nel luogo di partenza.
Il viaggio a questo punto diventa regolare, non ci sarebbe un debito iniziale da contrarre e da ripagare, pericoli da affrontare e accoglienza da organizzare per chi riceve. Un gran risparmio per tutti insomma. Quando il migrante arriva diventa controllabile, ha speso magari solo 100 euro di biglietto aereo e sa perfettamente che potrà tornare a casa sua nel caso non trovasse quel miglioramento che stava cercando.
Ricordate? Il migrante non è né un potenziale delinquente né un potenziale deficiente, per cui piuttosto che elemosinare un piatto di minestra in un Paese straniero deciderà di ritornare al suo Paese di origine.
Insomma oggi le reazioni all’afflusso di migranti provoca sostanzialmente reazioni sbagliate: da una parte si costruiscono muri o si va alla facile ricerca di voti attraverso slogan che intercettino lo scontento popolare, dall’altra si realizzano facili guadagni. Sostanzialmente non si tiene conto delle cause e non si affronta realmente il problema. Dicotomia funzionale ad interessi economici, come al solito, e uno Stato che non interviene nel modo giusto ma si affida al laissez-faire come per i mercati finanziari.
Dietro lo slogan oramai consolidato che i privati fanno sempre meglio dello Stato si affida tutto alla “mano invisibile” aspettando la magica e automatica correzione dei mercati lasciati operare senza controlli. Ma come questo non avviene nella realtà economica, basta vedere le crisi continue le cui perdite i cittadini sono poi chiamati a ripagare attraverso l’austerità, così non avviene per i migranti, dove i cittadini sono chiamati a pagare le conseguenze anche in termini sociali e di convivenza.
Dove manca l’indirizzo dello Stato viene meno l’utilità sociale. E le persone si dividono tra facile buonismo e rifiuto all’accoglienza.
Tutto dunque da rifare, tutto da ridiscutere partendo semplicemente da quanto già esiste, scritto e immortalato come principio di libertà e di progresso ma non ancora distribuito a tutti, concesso solo alla parte finora ricca e autorizzata a scrivere regole che poi non rispetta.
Le colpe non sono di certo né di chi intraprende viaggi pericolosi né di chi riceve e si vede spodestato delle proprie risorse. Non ha colpe chi vive questa crisi continua, economica e di valori. Chi è stato licenziato o chi ha perso la casa non potendo pagare la rata del mutuo, o chi ha dovuto cedere l’azienda o chi semplicemente si guarda intorno e non riesce a trovare una soluzione. Non ha colpa chi è esasperato perché il suo Stato non viene in suo soccorso o vede l’istituzione a lui più vicina, il Comune, rifiutargli un alloggio, una deroga sulle tasse.
Non ha colpa chi è costretto a rivolgersi alla Caritas mentre la domanda per un alloggio gli viene rifiutata o è in attesa da anni e si vede superato da una famiglia che viene da lontano.
Insomma in tale situazione, fanno presente le persone in sala, come si può accettare l’azione di un prefetto che sequestra un immobile per accogliere africani o asiatici, saperli per anni rifocillati a spese dello Stato, e quindi dei cittadini, con la certezza che dopo la prima accoglienza andranno ad aumentare l’esercito dei disperati e sfruttati. Ma le stesse persone che avanzano questi dubbi sembrano consapevoli del fatto che anche un prefetto si trova costretto a gestire, a sua volta, una situazione difficile, che sia solo l’ultimo anello di una catena costruita male.
Nessuno è un potenziale delinquente né un potenziale deficiente, sia egli italiano o nigeriano, bianco o nero, ma tutti messi alla prova più dura, all’abbandono e all’indifferenza potremmo diventare qualcosa di diverso da quello che ci eravamo prefissati. Un Governo che non governa, non dirige, non regola e si rende complice di un business che usa come merce l’uomo è in fondo il vero responsabile, questo hanno espresso le persone presenti a quella che si potrebbe definire una “conferenza circolare”, dove la gente, reduce dal voto per la riforma costituzionale, dice quello che pensa e vuole partecipare sempre di più alle decisioni.
La visione miope degli Stati e delle Istituzioni che etichettano, accolgono ma non risolvono, intervengono ma solo all’inizio, urlano ma non sanno pacare gli animi, esasperano a loro volta sia coloro da accogliere che chi dovrà coesistere con altri disperati. È qui che bisogna cercare le colpe e chiedere che le cose vengano gestite diversamente.
In tale contesto risulta vano anche evocare il principio “prima gli italiani”, perché benché chi scrive lo ritenga giusto, ci si rende conto che il vero problema è la mancanza di visione politica.
Una bella serata, partecipata e a cui bisognerà necessariamente dare un seguito per parlare più a fondo dell’art. 15 della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, di espulsioni e persone senza cittadinanza. E l’argomento è anche collegato al sistema carcerario degli USA, privatizzato, e dove una persona su quattro è legata ad una forma di detenzione, non necessariamente in carcere ma magari in libertà vigilata. Un business da circa 200 milioni di dollari all’anno e a cui l’Italia comincia pericolosamente a guardare.
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Claudio Pisapia
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