L’EVENTO
In scena il Giappone di Mishima, un prisma dai Colori proibiti
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È molto difficile fare una sintesi della figura e dell’opera intellettuale di Yukio Mishima (1925-1970). Fra i massimi esponenti della letteratura giapponese contemporanea, più volte candidato al premio Nobel per la Letteratura, in Europa spesso travisato e tacciato di fascismo, in realtà interprete di una personale visione del nazionalismo nipponico, che si concentrava sul culto per l’Imperatore come ideale astratto, incarnazione dell’essenza del Giappone tradizionale. Alberto Moravia lo ha definito un “conservatore decadente”.
Alle spalle Kimitake Hiraoka, questo è il suo vero nome, aveva una biografia complicata, come lo è la storia del Giappone nel secondo dopoguerra, sempre sul filo tra innovazione e tradizione, apertura e conservazione culturale. Le tensioni che vive ed esprime attraverso la sua opera e il suo attivismo politico lo porteranno all’estremo gesto del suicidio rituale: il seppuku, che in Occidente abbiamo da sempre erroneamente definito harakiri. Il Teatro Comunale Claudio Abbado di Ferrara ha deciso di commissionare uno spettacolo che su questa figura intellettuale ambivalente e complessa, affidandolo alla compagnia Dulcamara e a Sayoko Onishi, grande interprete di New Butoh. La scelta di questa danza, creata da Tatsumi Hijikata e Kazuo Ohno in Giappone all’indomani della Seconda Guerra mondiale, non è un caso: il butoh è nato proprio con la messa in scena di un romanzo di Mishima e in comune hanno la natura provocatoria e una costante e quasi maniacale ricerca estetica. Alla vigilia del debutto in prima nazionale sul palco estense all’interno del ciclo Focus Japan, abbiamo incontrato Sayoko Onishi in una delle pause delle prove.
Da dove è nato il titolo Mishima, l’angelo del nulla?
“Mishima era un vero artista: non solo scrittore di romanzi, ma anche drammaturgo e poeta, inoltre attore e regista. Angelo del nulla perché questa figura di grande spessore, che trasmette l’immagine di uomo potente, quando si analizzano meglio la sua vita e le sue opere si rivela una persona molto sensibile e fragile, che cela un grande amore. Quest’espressione vuole sottolineare soprattutto il fatto che non si riesce mai a cogliere fino in fondo la sua identità: nella sua vita ha tante facce, quella dell’artista e quella dell’ideologo nazionalista di estrema destra, quella del padre e del marito, quella dell’omosessuale. In lui si ritrovano tanti mondi separati, ognuno dei quali è a sé stante, un po’ assurdo, e non coglie interamente la realtà di Mishima: non si sa a quale di questi mondi appartiene, non si sa dove sta veramente”
Mishima è uno dei maggiori autori nipponici contemporanei, forse quello più conosciuto in Occidente, e allo stesso tempo è un personaggio complesso e contraddittorio, a tratti ambivalente, e spesso la sua opera è travisata e strumentalizzata. Come avete lavorato su questa figura?
Per lo spettacolo siamo partiti dai due estremi della sua opera: il suo primo romanzo, quello più autobiografico, Confessioni di una maschera e La decomposizione dell’angelo (pubblicato in Italia anche con il titolo di Lo specchio degli inganni, ndr), l’ultimo della tetralogia Il mare della fertilità. Da questi due lavori abbiamo tratto la maggiore ispirazione, ma in realtà tutte le sue opere, la sua intera biografia, dall’infanzia difficile con la figura opprimente della nonna e quella autoritaria del padre fino al gesto estremo del seppuku (suicidio rituale tramite sventramento, ndr), danno forma allo spettacolo. Affrontare una figura così complessa e contraddittoria non è stato facile, soprattutto per me che devo essere Mishima: ho dovuto intraprendere un viaggio che mi permettesse di interpretare un uomo, soprattutto un uomo come lui, nello stesso tempo fragile e energico, con una sensibilità e un lato femminile molto sviluppati, ma fedele ai valori tradizionali militaristi della società giapponese. Attraverso vari quadri narrativi tentiamo di esplorare tutti questi volti di Mishima, fino alla sua elevazione spirituale dopo il seppuku.
La rappresentazione di una delle opere di Mishima, ‘Colori proibiti’, viene considerata l’atto di nascita del Butoh. C’è quindi un legame intrinseco fra quest’autore e questa forma di danza…
Mishima frequentava molto i fondatori dell’arte butoh e questi a loro volta erano molto influenzati dalle sue riflessioni e dalla sua opera. Il maestro Yoshito Ono, il figlio di Kazuo Ohno uno dei fondatori della danza butoh, mi ha raccontato che questo rapporto non è iniziato nel migliore dei modi: Mishima non sapeva che la pièce era ispirata al suo Colori proibiti, ne è venuto a conoscenza solo poco prima della messa in scena e ha deciso di assistere, infastidito perché nessuno aveva chiesto il suo permesso. Vedendo lo spettacolo però si è molto emozionato e poi da lì è nato questo rapporto di confronto e influsso reciproco
Sayoko, lei è una delle più importanti esponenti del cosiddetto New Butoh, può spiegarci meglio come si è evoluta questa forma di danza?
Nel tempo ci sono state molte contaminazioni culturali, anche perché in origine i danzatori butoh erano solo giapponesi, mentre ora non più, inevitabilmente la loro cultura entra in gioco nel loro modo di interpretare questa danza. Io stessa vivo fuori dal Giappone da molti anni e dal 2000 abito a Palermo, dove ho avuto una grande crescita artistica. Non c’è più lo stereotipo del butoh, ma come dice il maestro Yoshito il butoh è avanguardia quindi non si deve fermare, deve essere in continuo sviluppo
Ormai da un po’ di anni ha eletto come patria d’adozione la Sicilia, perché questa scelta? Quali sono le differenze e, se ne esistono, le similitudini fra le sue due ‘case’?
Sono arrivata in Sicilia a Palermo perché invitata come coreografa e insegnante dell’Associazione Siciliana Danza, per la quale ormai ho creato ormai diversi lavori con danzatori e attori. La differenza più evidente è che i siciliani sono molto più espansivi e irruenti, noi giapponesi al contrario siamo più riservati, tranquilli, persino troppo formali forse. In comune però abbiamo questa grande intensità delle emozioni che non riveliamo mai fino in fondo e nei miei laboratori di butoh è come se questa intensità accumulata dentro quasi esplodesse.
Sayoko Onishi ha cominciato lo studio del butoh a Hokkaido con Ipei Yamada all’interno della compagnia Hoppoh-butoh-ha. La sua formazione comprende inoltre la danza classica e contemporanea, il tai chi e il Chigong. Collaboratrice di Yoshito Ohno, nel 2000 ha dato inizio alla sua carriera artistica in Europa con il trasferimento a Palermo, che le ha permesso di collaborare con l’associazione siciliana ‘Danza’, mentre da coreografa ha cooperato con la Deutsche Oper di Berlino e si è esibita da solista in importanti teatri internazionali.
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Federica Pezzoli
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