Di nuovo quest’anno, a partire dal 16 ottobre, anche a Ferrara e provincia è stata organizzata la “Notte Rossa” [leggi il programma]. Per chi non lo sapesse si tratta di una manifestazione a livello nazionale, gestita da numerose sigle dell’associazionismo culturale e ricreativo della sinistra, che ha lo scopo di recuperare la memoria e lo spirito originario delle strutture associative autogestite costruite nel passato dal movimento dei lavoratori. Case del popolo e circoli ricreativi, quindi, ovvero come recita il sito dell’iniziativa “immobili costruiti con ore di lavoro volontario, sorti spontaneamente nella penisola per dare uno spazio di ritrovo a lavoratori e cittadini”, che dalle nostre parti hanno rappresentato per decenni, in provincia, soprattutto, ma anche nei quartieri popolari della città, il punto di riferimento per migliaia di cittadini e lavoratori. C’erano il bar ed una grande sala, buona per tornei di briscola per pranzi e riunioni, le sedi dei partiti, del sindacato e della polisportiva. Luoghi in cui si giocava a carte e a biliardo davanti ad un bicchiere di vino ed in cui si ballava la domenica, ma anche realtà vive in cui si discuteva con grande fervore di politica e di attualità. Luoghi in cui le comunità si ritrovano quando c’era un problema da affrontare e bisognava decidere su qualcosa, in cui si organizzavano banchetti di nozze e commemorazioni funebri per qualche senza dio. Luoghi che dalla seconda metà degli anni ’80 hanno iniziato a sparire: prima lentamente, poi sempre più in fretta. Uccisi dal cambio degli stili di vita, dalla fuga dei giovani verso altre realtà, dalla crisi della partecipazione e della politica.
E’ possibile ridare vita e significato a questi luoghi, che quasi sempre hanno lasciato al loro posto un grande vuoto? A mio parere non solo è possibile, ma proprio necessario. Siamo infatti entrati in un’altra fase storica, più complessa e più incerta e che proprio per questo richiede maggiore socialità, semmai anche attraverso la ricomposizione di esperienze che negli ultimi decenni si sono articolate in mille rivoli diversi. Il ‘ventennio della follia consumista’ è finito con l’inizio del nuovo millennio e la lunga crisi che ne è seguita ci ha implacabilmente rimessi di fronte a tutti i problemi irrisolti che avevamo prima, ovviamente aggravati dell’incuria. Le persone che in questi decenni si sono rinchiuse nel loro privato, cioè la maggioranza, vivono spesso a vario livello situazioni di disagio sociale, non solo di natura economica, ma soprattutto esistenziale: insicurezza, mancanza di punti di riferimento, paura del diverso e dello straniero. Preda dei mestatori di paura e di odio.
Non si tratta quindi di ‘operazioni nostalgia’, volte a ricreare con la cartapesta il contesto e l’atmosfera di qualche bel tempo andato, semmai per titillare il senso estetico, peraltro discutibile, di qualche irriducibile snob. Quello che serve invece è ricostruire luoghi aperti, come erano in origine (gli unici che non potevano entrare erano i fascisti dichiarati) e l’esatto contrario delle casematte in cui secondo qualcuno dovrebbero asserragliarsi i reduci irriducibili di mille sconfitte, operando soprattutto quella ricucitura generazionale di cui in città il Circolo Bolognesi, purtroppo assurto recentemente alle cronache per altri fatti, costituisce un esempio interessante e di successo.
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Raffaele Mosca
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