L’EVENTO
All’Ariostea l’Istituto Gramsci ripercorre
la Grande Guerra degli italiani
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Annatevene tutti, lassatece piagne da soli.
Con questa frase, scritta su un muro di Roma ai tempi dell’occupazione tedesca, Enzo Biagi terminava un suo articolo per il Corriere dal titolo Qualche eroe tra la brava gente.
Anche Pirandello e Gadda, a modo loro, hanno trovato eroi negli italiani. Eroi tragici e grotteschi, che vorrebbero farsi beffe ma destinati a essere beffati. La tragedia pirandelliana I vecchi e i giovani è il crollo delle speranze e dei valori risorgimentali di una Italia fresca di recente unità che somiglia terribilmente a quella di oggi; mentre i suoi protagonisti, in piena crisi dell’uomo moderno, non hanno niente da invidiare al nichilismo dell’uomo contemporaneo, così come i vizi che appartengono di diritto all’antropologia dell’italiano medio che sarà dipinto da Alberto Sordi nei suoi indimenticabili ritratti cinematografici – arrivismo, corruzione, pigrizia, malgoverno. La lezione è quella del Gattopardo: perché tutto resti uguale a se stesso, le cose devono cambiare. Ovvero: cambia l’epoca, ma non l’italiano. Quello è ancora il poeta, santo e navigatore; e fondamentalmente buono, come ricordava Biagi nel suo articolo. La cognizione del dolore è invece un ritratto di grande bellezza e dolore. Quello che è il triste Gonzalo, perso tra le figure del padre e della madre tra angosce, timori e nevrosi annaspando nel dramma borghese della perdita materiale e soprattutto affettiva, il barocchismo degli inganni nelle relazioni e nella (scarsa) capacità comunicativa, restando un uomo solo pur nel sollievo della linguaggio di Gadda. I due libri saranno spunto per parlare di Italiani oggi (2 ottobre) con Claudio Cazzola e il 24 ottobre con Rosanna Ansani.
Ubbidisci al comando della tua coscienza, rispetta sopra tutto la tua dignità, madre: sii forte, resisti lontana, nella vita, lavorando, lottando.
Una donna di Sibilla Aleramo è forse il primo romanzo femminista italiano. Quella condizione i cui primi segnali arrivano da un momento buio e triste, e dove sono le donne che all’inizio del Novecento, trovandosi sole, gli uomini tutti partiti per il fronte, assumono quella guida e quella forza che è l’anticipazione e la culla del movimento femminista.
Si arruolano, sono infermiere e operaie, cambiano consistentemente il proprio ruolo sociale e familiare, affrancandosi da quella condizione che descrivevano poetesse e intellettuali (a loro volta criticate per la forte voce di indipendenza); diventano crocerossine, come racconta Hemingway in Per chi suona la campana; cucinano per poveri e orfani, cuciono vestiti di lana per i soldati al fronte, tengono vivi i collegamenti tra combattenti e familiari, vanno a lavorare in fabbrica – preludio di un altro ruolo fondamentale che avrebbero avuto durante la Seconda guerra mondiale, diventano staffette, portando indicazioni militari e notizie e rischiando la vita.
A raccontare i movimenti femminili nell’ambito della Grande Guerra sarà Anna Quarzi il 13 ottobre. Piero Stefani introdurrà invece una forte voce femminile della Seconda guerra mondiale, il 28 ottobre. Quella della partigiana Eliana Millu, maestra elementare, scrittrice, giornalista sopravvissuta al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, “dove ero il numero A5384”, come ricordava; la voce femminile di Primo Levi, che racconta la guerra sua e di milioni di persone nel libro Fumo di Birkenau, sei racconti-testimonianza sui lager nazisti, scritti nel 1946.
Altra voce della Prima guerra mondiale, discussa da Paola Gnani il 17 ottobre, è quella del poeta austriaco Georg Trakl, morto a 27 anni nella battaglia di Grodek. La decadenza del mondo, tanto inarrestabile quanto, e l’infinita solitudine che avvolge ogni cosa sono i protagonisti delle sue opere. Solitudine, lontananza da Dio, dipendenza da sostanze psicotrope e disagio esistenziale si affiancano a quello fisico: vive lo strazio della Grande Guerra, raccontando la crisi profonda che agitava la società asburgica. Trakl rappresenta il suo dolore intimo con occhio onirico: Grodek, la sua ultima poesia, scritta prima di togliersi la vita, ne è l’esempio più grande e terribile, tanto da sembrarne il testamento. Frutto della sua esperienza al fronte quale medico, testimone dello scontro tra ragione strumentale e istinto di dominio, vi è descritta la bellezza naturale della scena della battaglia che si mescola alla violenza della guerra, realizzando la tragedia personale di Trakl e quella, universale, della guerra.
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Giorgia Pizzirani
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