L’EVENTO
Al Festival Lgbt stereotipi, pregiudizi e voglia di normalità: l’orizzonte pubblicitario dell’omosessualità
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Incalzano gli incontri di Tag, il festival di cultura Lgbt che si sta svolgendo in questo fine settimana alla Sala Estense. Incontri e spettacoli su temi fondamentali non solo dell’identità sessuale Lgbt, ma dell’intera società.
Venerdì con intelligente ironia, Rita de Santis, una mamma dell’associazione delle famiglie con figli omosessuali, ha raccontato come la maggior parte dei coming out avvengano a tavola, e le reazioni siano le più disparate, dall’abbuffata all’abbandono del desco. E Chiara Reali del progetto Le cose cambiano, ha chiarito una volta per tutte la differenza tra outing, ovvero quando gli altri rivelano che una persona è omosessuale, e coming out ovvero quando è la persona stessa ad annunciarlo.
Sabato invece, dopo un incontro che ha contribuito a fare chiarezza sull’iter legislativo in materia di diritti delle persone omosessuali in Italia, e di cui abbiamo parlato qui (http://www.ferraraitalia.it/levento-festival-lgbt-i-miei-figli-hanno-gli-stessi-doveri-ma-uno-non-ha-gli-stessi-diritti-36719.html) c’è stato un incontro, dal titolo “Le nuove famiglie italiane della pubblicità”
“La presenza di omosessuali nelle pubblicità è spesso strumentalizzata, per cui quello che da pubblicitaria posso dire è di evitare manipolazioni. C’è un eccesso di estetica nelle pubblicità che ritraggono coppie dello stesso sesso. Il rischio dell’utilizzo di queste storie negli spot rischia di avere un carattere ideologico ed estetico e non di normalità”.
“Il punto centrale è proprio quello della normalità. Noi abbiamo 42 milioni di visitatori nei punti vendita che abbiamo in Italia, la coppia gay o lesbica è la normalità, per cui altrettanto normale per noi è rivolgerci a loro nei nostri spot”, ha confermato Valerio di Bussolo di Ikea, riferendosi alla campagna pubblicitaria gay friendly dell’azienda svedese per la casa, che ha suscitato le ire di Giovanardi.
“In verità non è la normalità che dobbiamo inseguire, ma la naturalità. Inoltre bisogna fare una differenza tra utilizzo e sfruttamento”, ha poi corretto il tiro Fulvio Zendrini, esperto di comunicazione per Gf Group, “a me non interessa lottare per la normalità, ma per le differenze, che sono più importanti”.
“Ci sono pubblicità irrilevanti, altre dannose, alcune però, possono cambiare un po’ le cose, penso ad esempio alla bellissima campagna di Dove, Real beauty, che rivede il classico concetto di bellezza femminile e mostra donne di ogni età e fattezza. Non si può però chiedere alla pubblicità ciò che non può fare, ovvero delle sofisticate analisi della realtà sociale, ma le si può chiedere di essere un fattore di sviluppo e non di arretratezza. La pubblicità lavora sugli stereotipi, perché è la nostra mente per prima che lo fa. Noi mettiamo insieme delle idee del mondo che ci aiutano a prendere decisioni rapide nella vita quotidiana. Il problema non è lo stereotipo, ma il pregiudizio, cioè lo stereotipo che si fossilizza in una visione del mondo che non si confronta con la realtà dei fatti. Purtroppo la pubblicità tende a consolidare pregiudizi brutti e stupidi sulle persone. Invece lavora bene quando usa gli stereotipi come strumenti narrativi e non come vincoli. La creatività nasce dalla diversità, per questo va difesa”.
“In effetti noi possiamo aiutare un cambiamento, ma non determinarlo. All’Ikea io posso dare le ore di congedo ad un dipendente per andare a trovare il suo compagno in ospedale, però poi all’ospedale non lo fanno entrare perché i due non sono riconosciuti come parenti. Qui è dove noi ci fermiamo e deve intervenire lo Stato”.
“Ma io penso che questo cambiamento sia in atto, sta cambiando il mito degli anni ’80, dove gli esempi erano personaggi alla Fabrizio Corna o Silvio Berlusconi, per intenderci. Oggi il mito è: la mia vita è bella, ovvero la bellezza della raggiungibilità delle cose”.
Dopo questa bella lezione di comunicazione e marketing che è andata molto al di là dello spunto iniziale legato all’omosessualità, dal pubblico una domanda riporta però al tema del festival: la parità. E allora perché negli spot ci sono sempre coppie gay e quasi mai lesbiche?
La risposta degli esperti è che la pubblicità cerca il paradosso per cui effusioni tra uomini fanno più impressione di quelle tra donne, che invece sono più frequenti, anche tra amiche. Ma rimane anche strisciante il sospetto che forse una donna che rinuncia completamente agli uomini sia più difficile da accettare di un uomo che tutto sommato sceglie un altro uomo. Chissà, il quesito rimane aperto.
Ma non c’è tempo per farsi troppe domande che sul palco della sala Estense, già arriva Mario Venuti, a presentare il suo ultimo album “Il tramonto dell’Occidente” scritto a sei mani con Bianconi dei Baustelle e Kaballà.
“Questa volta non parlo d’amore, ma mi metto alla finestra e guardo fuori”, il cantante siciliano racconta così questo nuovo lavoro, con molte implicazioni sociali, ed è questo il motivo per cui gli organizzatori del festival hanno voluto la sua presenza.
Sono storie di periferia, come quella di Scampia che si vede nel video del singolo Ventre della città.
“E’ il tentativo di capire cosa siamo, dove stiamo andando, in mezzo a certezze che si stanno sgretolando”.
Come reagire a questo declino?
“Reimpostando un sistema di valori”, dice Venuti, “questo momenti difficile deve diventare un’opportunità, anche se ho la sensazione che noi siamo assolutamente controcorrente e la tendenza sia ad un non pensiero, se fai pensare sei messo da parte. L’insostenibile leggerezza dei testi di Sanremo mi ha colpito molto, sentimentalismo bieco e campato in aria ha pervaso tutte le canzoni”.
“Se ti senti contro tendenza, sei nel posto giusto” ha scherzato Salvo di Arcigay che lo stava intervistando.
E questo ha dato il là a Venuti per un racconto personale.
“Un mio amico insegnante aveva fatto richiesta per insegnare all’estero e ha ricevuto una proposta da Asmara in Eritrea. Lui si è sposato con un ragazzo cileno a Madrid, e una volta là, stava facendo in modo che il suo compagno avesse i documenti per raggiungerlo. Un giorno è stato chiamato dal preside e si è trovato due militari armati che gli hanno intimato di lasciare la nazione entro 36 ore. Il motivo, anche se non dichiarato era la sua unione gay. Lui si è rivolto all’ambasciatore, e il Ministero della pubblica istruzione, cioè lo Stato italiano, non ha fatto nulla, non lo ha difeso, ha perso il lavoro ed è dovuto tornare in Italia”.
Poi ci è voluta un po’ di musica per riportare il sorriso tra i presenti, con la consapevolezza che molto c’è ancora da fare per ottenere la parità di diritti in questo paese.
Il festival prosegue fino a questa sera.
Qui il programma
Fotoservizio di Stefania Andreotti
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Stefania Andreotti
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