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Quella sera il tramonto non finiva mai. Avevo diciassette anni, non lo sapevo che eravamo felici. (L’amore che ti meriti, Daria Bignardi)

Cara Daria,
Permettimi di darti del tu. Alcune cose ci accomunano. Entrambe siamo di Ferrara, abbiamo studiato al liceo classico Ludovico Ariosto, siamo nate negli anni sessanta ed entrambe scriviamo (anche se di questo ti chiedo venia, abbiamo risultati e successi ben diversi). Per questo, dunque, mi prendo la libertà del libero e leggero “tutoyer”, come direbbero i francesi. Spero non ti dispiaccia troppo.
Volevo semplicemente ringraziarti per questo nuovo libro, uno splendido regalo fatto a me e a molti ferraresi come me, che ci ha portato a ripercorrere le strade della nostra città, spesso amata-rinnegata-fuggita, che ci ha fatto rivedere parte del suo passato e dei suoi misteri, a volte dolorosi. Un dono importante in un momento così difficile per il nostro paese, dove ricordarsi della nostra storia e delle nostre origini forse ci può aiutare un po’.
Domandandoci, insieme a Alma e Toni, come si fa a meritarsi l’amore e, soprattutto, quanto se ne meriti realmente, abbiamo camminato per le vie della nostra città silenziosa, deserta, assente, ovattata, immobile, impermeabile, intima, nostalgica, irreale, grigia ma sempre invitante. Ne abbiamo riscoperto le profonde radici reali, ci siamo ricordati degli orti cittadini, delle prime visite al cimitero ebraico, della pace qui ritrovata e dei pensieri confusi qui maturati, abbiamo calpestato i ciottoli di via Vignatagliata, fermandoci al quel numero che tu citi più volte e dove ora abitano i miei più cari amici d’infanzia. Incredibile e fortunata coincidenza, per me. Abbiamo rivisto con Toni e Michela i manifesti dei vecchi film de l’Apollo, ripercorso con lei i vecchi bar di via Carlo Mayr, quella via dove ora abito quando sono in Italia e che ha visto trasformare quei locali mal arieggiati e fumosi in locali alla moda, oggi ritrovo di artisti e scrittori. Tutto cambia, tutto scorre. Ma l’anima di Ferrara resta. Un’anima che sa di latte caldo con il miele. Una famiglia. Un enorme e unico diamante nascosto, come quello che si pensava incastonato in una delle punte del Palazzo dei Diamanti che, proprio per questo, ogni settimana erano “sbeccate” da mani ignote. Qualcuno lo cercava, tenacemente imperterrito. Una fantasia che ci incuriosiva, da bambini, e ci faceva sognare di misteri, tesori e ricchezze lontane.
Quel “ticchettio soffocato di un orologio invisibile”, il rumoroso orologio a molle nascosto nel cassetto, fa anch’esso parte dei ricordi della mia infanzia, così come la villetta bianca del mare con il barbecue in giardino, non lontana dal laghetto infestato di zanzare. Gli argini del Po, poi… come non ricordare le gite in bicicletta lungo le braccia di quel fiume imponente e protettivo, e le mura cittadine, lo spiazzo erboso alla fine di Corso Ercole I d’Este che porta ai bastioni fiancheggiati da platani, tigli e alberi maestosi. Il verde cittadino qui inizia a confondersi con la campagna che inizia poco lontano, lo sguardo si perde nei colori e nei ricordi. Un battito d’ali di farfalla ci risveglia per un attimo da quel viaggio nel tempo. Ma ci siamo. Siamo lì con te, con Toni, con il suo figlio in grembo che vuole nascere sereno, con la tenacia e il coraggio di una giovane donna sicura di sé.
Mentre Toni, nella nebbia mattutina attraversata da raggi di sole, cerca di svelare il temibile segreto della scomparsa di Maio, fratello della madre, noi la seguiamo, persi tra la voglia di risolvere quel mistero e la nostalgia per tutto quello che abbiamo vissuto in quella città, per la storia che abbiamo immaginato scorrere, leggendo le lapidi del ghetto o quelle delle mura del Castello Estense, per le tombe e i monumenti che abbiamo visto nella Certosa, incerti, perché ci viene alla memoria l’immagine sfuocata di una grande scultura alata dedicata a Italo Balbo che ora non ritroviamo … ma forse si tratta di un ricordo lontano appartenente a un altro luogo…
Alma ricorda una foto di famiglia, una di quelle che fanno pensare a “come eravamo felici”. Chi di noi non ha avuto lo stesso pensiero di fronte a una vecchia fotografia dai colori sbiaditi. Ma è solo nostalgia per una gioventù perduta o lo eravamo davvero?
E allora, cara Daria, ancora grazie per questo viaggio nel passato più recente, che è anche il mio, un passato che ora, da lontano, ricordo con affetto e nostalgia. In questo istante, anche io mi sto sicuramente domandando quanto amore mi meriti e perché. Ora che ce l’ho e che non lo voglio perdere. Cercherò di darne più che posso, solo questo posso dirti.
Un abbraccio affettuoso, cara Daria, da una ferrarese lontana ma vicina.

Daria Bignardi, L’amore che ti meriti, Mondadori, 2014, 247 pp.

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

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