L’eterna lotta di San Giorgio: luci e ombre nella secolare storia della nostra cattedrale
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Bene e male, vita e morte, luce e oscurità. Ferrara è la città dai contrasti insanabili e dalle mille contraddizioni, testimoniati copiosamente nei suoi libri di pietra e marmo.
E’ il 28 ottobre del 2015, quando all’ingresso della Cattedrale consacrata a San Giorgio, il Cavaliere di Dio, vengono avvistate delle scritte che il giorno prima non c’erano. Si tratta di segni inquietanti, ben visibili. Non è difficile comprendere il loro significato. Sono segni satanici: una croce rovesciata, simbolo in realtà cristiano; il numero 666, erroneamente ritenuto il numero della bestia a causa di una traduzione sbagliata della Bibbia; e infine, la grottesca quanto ingenua invocazione “Satana call me”, ovvero “Satana chiamami”. Eppure, questi segni non sono casuali. La stessa cattedrale, in effetti, è l’incarnazione dell’eterna lotta tra il bene e il male. La facciata è oggi coperta perché in restauro, ma chi l’ha già vista si ricorderà delle incredibili figure mostruose scolpite secoli fa, creature ritenute reali, abitanti di mondi lontani. Come ogni chiesa, è metafora di tutto il creato e dell’aldilà, tutto ciò che esiste trova qui il suo posto. E’ sorprendente il Giudizio Universale rappresentato sopra la loggia centrale, una raffigurazione decisamente poco comune per la facciata di una chiesa, ma non è l’oltretomba il protagonista dei bassorilievi: la vita è richiamata dalla molta vegetazione che avvolge tutta la facciata, rendendo il duomo un vero e proprio Albero della Vita. Simboli, numeri, geometrie, ma non solo: c’è chi dice che la battaglia perpetua, a Ferrara, si sia combattuta veramente, e tutto questo sarebbe dimostrato dalle bizzarre colonnine della cattedrale situate sul suo lato destro, perfettamente visibili a tutti i viandanti che provenivano dalla medievale Via San Romano. La leggenda vuole che queste, realizzate con forme strane e indecifrabili dalla corporazione dei Maestri Comacini, fossero state in realtà scolpite in maniera simmetrica, come ci si potrebbe aspettare in una costruzione simbolo di ordine e perfezione. Ma la notte prima dell’inaugurazione, il diavolo si sarebbe divertito a plasmarle a suo piacimento, per rovinare la giornata di festa dell’indomani. Peccato però che il giorno dopo la popolazione fu così sorpresa da complimentarsi con gli scultori per la loro eccellente maestria e fantasia. E’ arrivato però il momento di lasciare le leggende per immergerci nella storia, quella documentata, spesso molto più straordinaria della nostra immaginazione. 17 dicembre 1269: muore, a Ravenna, il ferrarese Armanno Pungilupo, sepolto come un imperatore nella tomba costruita per Teodorico e subito inviata a Ferrara per essere collocata a sinistra dell’altare maggiore nella cattedrale. Ma andiamo con ordine. Armanno era un uomo venerato già in vita per le guarigioni che sembrava dispensare a chiunque. Nel 1254, tuttavia, fu scoperto essere in realtà un cataro, dunque un pericoloso eretico. Una setta contro cui la Chiesa cattolica aveva organizzato proprio all’inizio di quel secolo una vera e propria crociata, con l’obiettivo di sterminarla. Armanno, dunque, fu costretto ad abiurare la propria fede, promettendo di vivere da vero cattolico. Anzi, per tutta la sua vita fu considerato un santo, e tale fu proclamato alla sua dipartita. Il suo corpo era in grado di attirare nella cattedrale ferrarese un gran numero di genti. Tutto questo fin quando, un anno dopo, riesaminando alcuni suoi documenti, ci si rese conto che in realtà Armanno non aveva mai smesso di essere cataro, e la Santa Inquisizione non poteva certo perdonare un falso giuramento. Ci vollero ben trent’anni e dieci papi perché il nuovo santo scontasse la pena, anche se da morto: il suo corpo, il corpo del santo eretico, venne dissotterrato e bruciato barbaramente. La sola sepoltura ancora oggi presente nel duomo è quella di Urbano III, ma questo non basta a sconfiggere l’oscurità e il grigiore che ormai incupiscono l’interno della splendida cattedrale, un tempo color bianco e oro, e che soltanto un buon restauro, previsto per i prossimi anni, potrà regalarci.
La lotta tra luce e oscurità è appena ripresa a Ferrara, una lotta mai definitiva, nella città che anche nel suo stemma custodisce i colori della trasformazione e della rinascita, il bianco e il nero.
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Ivan Fiorillo
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