Lei è pazzo!
di Giovanni Samannà
“Lei è pazzo” – le parole uscirono quasi biascicate dalla bocca del padrone. Senza forza. Tanto era incredulo davanti al vuoto che gli si era parato innanzi, dopo che aveva aperto le porte del furgone per levarsi il dubbio assurdo che gli era venuto. Dentro era letteralmente sgombro. Nulla, se non un bancale di legno e due cartoni sfatti.
Vanni aveva fatto sempre il panettiere. Lavorava nel forno di suo padre praticamente da quando era nato e dalla stessa data forse ci litigava ogni giorno o quasi. Con quel forno ci avevano mangiato tutti e fra bestemmie, sudori, urla e panetti di pasta lievitata scagliati da tavolo a tavolo erano trascorsi anni. Lui si era sposato da poco e sua moglie era incinta. Non era più tempo di fare minchiate.
Ma il gallo vecchio e il gallo nuovo se non per le galline troveranno un altro pretesto per piantarsi il becco dentro le carni.
“Basta. Questa è l’ultima! – si disse dopo l’ennesima lite – “devo cercarmi un altro lavoro”. E cominciò a darsi da fare fra amici e conoscenti.
Non è mai stato facile trovare un lavoro a Trapani. Un lavoro vero, con i contributi, gli orari decenti, con uno stipendio regolare. Ma si era verso la fine degli anni ottanta, c’era ancora qualcuno che movimentava una sorta di economia anche se da lì a poco sarebbe collassata del tutto. Venne a conoscenza che un grossista di alimentari stava cercando un autista che facesse le consegne per i piccoli bottegai della provincia. Andò a parlargli l’indomani.
“Io la prendo in prova per una settimana” gli disse il padrone del deposito. “Lei comincia lunedì. Queste sono le chiavi del portone e del furgone che il magazziniere le farà trovare già carico con tutte le consegne, le bolle e gli indirizzi per ognuna. Faccia il giro bello tranquillo e all’orario di pranzo si ferma a mangiare in una trattoria. Poi mi porti la ricevuta che il pranzo lo pago io”
Vanni prese le chiavi e risalì in macchina. Aveva dato un’occhiata distratta alla lista delle consegne: Marsala, Petrosino, Strasatti, Mazara, Castelvetrano o poi tutta la Valle del Belice. Partanna, Santa Ninfa, Salemi. Poi Alcamo, Castellammare, San Vito, Custonaci e infine la città. C’era da correre parecchio ma lui era abituato come tutti quelli che hanno un’attività propria. Gli orari non li aveva mai guardati sia quando andava a fare legna per il forno che per spartire casa per casa il pane ai clienti, come era uso dell’epoca. Finiva solo quando era tutto a posto.
Non avendo ricevuto disposizioni per l’orario e sapendo che il giro era lungo si presento il lunedì mattina che era ancora scuro. Aveva fatto sempre il fornaio e uscire di casa alle quattro gli aveva permesso di dormire anche due ore più del consueto; alle cinque il furgone carico era già davanti alla prima bottega di alimentari che a quel tempo erano già con la saracinesca alzata. Consegnò il carico previsto e fece firmare la bolla per rimettersi subito in moto. Il giro era ancora lungo.
La mattinata trascorse intensa e la mole degli scarichi fece venire presto l’ora di pranzo. Era a Salaparuta e la trattoria più vicina si trovava a Salemi. – “perderei troppo tempo” – pensò. La faccia tosta non gli era mai mancata e suonò al campanello della bottega che nel frattempo era chiusa per l’intermezzo pomeridiano. All’epoca i piccoli bottegai di paese abitavano spesso nei locali attigui alla loro attività e non era inusuale che venissero chiamati nelle ore di chiusura o di riposo come in questo caso. “Me lo fa un panino con la mortadella mentre scarico?” – e completò la consegna tenendo la rosetta in una mano e bofonchiando un “arrivederci” a boccone pieno.
Alle sette di sera sua moglie non lo vedeva rincasare. Cominciava a preoccuparsi e telefonò al deposito che i cellulari allora si vedevano solo nei film americani e avevano l’antenna come una canna da pesca.
Rispose il titolare: “signora mia, sono preoccupato anche io – gli fa – “gli altri se ne sono già andati e io sono rimasto qui che aspetto”.
Passano le otto, la moglie si mette in macchina e si reca al deposito. “l’autista di prima alle sei era già di ritorno, non capisco perché suo marito ci sta mettendo tutto questo tempo” – continua, stavolta in tono più pessimista che dubbioso il proprietario.
Alle nove di sera le sensazioni si fecero quasi funeste: “Chiamiamo i carabinieri” – fece la moglie che aveva iniziato a temere qualcosa di grave. Il titolare si diresse verso il gabbiotto di alluminio e vetro che ospitava l’ufficio quando nel parcheggio entrò un furgone bianco.
Vanni aprì la portiera e scendendo disse alla moglie “Torna a casa che io arrivo a momenti”. Si diresse verso il gabbiotto con in mano soldi e fogli. “Buonasera, qua ci sono le bolle e i soldi di chi ha pagato” – disse rivolto al proprietario. “Questa è la lista di quelli che hanno dato solo un acconto e qui ci sono le chiavi del furgone e del deposito. Mi dispiace ma questa è stata la mia prima e ultima giornata di lavoro. Sapevo che si trattava di un lavoro impegnativo ma, onestamente, di sta maniera mi pare troppo. Io rimango a fare il fornaio con mio padre. E dato che avevamo concordato una settimana di prova e io finisco oggi non voglio neanche che mi paghi per questa giornata. La saluto”. Mentre si dirigeva verso l’uscita il padrone si rigirava in mani le chiavi del furgone e d’un tratto un pensiero atroce gli squarcio il sentimento: “Ma non può essere” – pensò. “Aspetti un momento” – urlò verso Vanni che era ancora nel piazzale. Si diresse verso il furgone e con le due mani aprì i portelloni posteriori.
“Lei è pazzo” – le parole uscirono quasi biascicate dalla bocca del padrone. Senza forza. Tanto era incredulo davanti al vuoto che gli si era parato davanti, dopo che aveva aperto le porte del furgone per levarsi il dubbio assurdo che gli era venuto. Dentro era letteralmente sgombro. Nulla, se non un bancale di legno e due cartoni sfatti. – “Lei è pazzo” – disse quasi urlando e con gli occhi sgranati, stavolta – “Erano le consegne di TUTTA la settimana, non di una giornata! Lei DEVE lavorare con me, le aumento subito lo stipendio e le metto anche duecentomila lire fuori busta ma non se ne vada!” – “Non se ne parla” – fece lui – “la ringrazio ma torno a fare il panettiere. Solo quello so fare”.
Quella sera andò a dormire più stanco del solito.

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Redazione di Periscopio
PAESE REALE
di Piermaria Romani
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)