La vittoria della Lega a Ferrara è netta. La sconfitta del centro-sinistra è pesante. Il significato simbolico di questo esito ferrarese assume giustamente un valore nazionale. La batosta di ieri segna il culmine di una catena di sconfitte subite dal centro-sinistra in molti comuni ferraresi negli anni scorsi. A ciò si aggiunge la clamorosa sconfitta di Dario Franceschini nelle elezioni del 4 marzo 2018 nel confronto diretto con una mediocre e anonima candidata leghista. A fronte di questi segnali inequivocabili di crisi profonda dell’identità culturale, politica, programmatica e organizzativa del maggior partito della sinistra ferrarese, il suo gruppo dirigente ha sempre evitato un’analisi seria delle ragioni delle sconfitte, rimuovendo i ‘fatti’ e perpetuando se stesso. Adesso basta!
La vittoria della destra a Ferrara è evento troppo pesante e traumatico per archiviarlo senza trarne le rigorose conseguenze. Nel merito, poche osservazioni…
1) Sarebbe errore grave attribuire la sconfitta ferrarese alla tendenza nazionale, perché questa ‘causa’ è smentita da ottimi risultati ottenuti sia in Emilia-Romagna (la netta vittoria del candidato del centro-sinistra a Reggio Emilia e la vittoria a Modena nel primo turno), sia in altri ballottaggi tenutesi domenica dove la Lega non ha stravinto (sette a sei).
2) E’ sulle responsabilità locali che bisogna concentrare l’analisi. Come culmine di una sequela di errori compiuti da chi ha diretto il Pd negli anni scorsi va considerato la scelta di un candidato sindaco vissuto come perdente fin dall’inizio. Da parte mia non è in discussione il valore di amministratore di Aldo Modonesi, ma la sua immagine di ‘continuità’ con un passato che una parte larga di opinione pubblica chiedeva di interrompere con una forte discontinuità di programma e di leadership. Non c’è dubbio che durante la campagna elettorale il candidato del centro-sinistra abbia compiuto uno sforzo di innovazione sul piano programmatico, ma la sua immagine ‘vecchia’ e in assoluta continuità con una classe dirigente che monopolizza la rappresentanza del Pd ferrarese da troppi anni ha annullato ogni possibile impatto positivo delle proposte nuove.
3) La domanda che viene spontanea è evidente: esisteva la possibilità di proporre alla città una candidatura diversa e vincente? Sì, esisteva… E c’è chi l’aveva segnalata per tempo sia nel dibattito interno al Pd, sia nel campo largo e plurale della coalizione del centro-sinistra. Quindi si poteva vincere, come è accaduto in altre città emiliane e nel Paese. E’ questa convinzione che rende più dolorosa e bruciante la sconfitta subita.
E ora, che fare? Intanto, non va demonizzato l’elettorato che ha eletto il nuovo sindaco. Quando si perde in modo così netto, bisogna fare i conti con i propri errori, senza inventarsi alibi di nessun tipo. Abbiamo bisogno di un severo esame a raggio largo, non di ripiegamenti lamentosi e vittimistici. Ritengo che le condizioni per risalire dal buco nero in cui siamo caduti ci siano. A patto che il Pd ferrarese archivi autosufficienza e chiusura in se stesso del gruppo dirigente. C’è bisogno di organizzare una grande e capillare discussione che coinvolga le fresche risorse umane messe in campo con generosità dalle liste civiche che hanno sostenuto Modonesi nel ballottaggio. E, più in generale, rendere permanente il rapporto con la cultura e il vario e plurale associazionismo democratico per capire meglio i grandi cambiamenti in corso nella società civile e per riqualificare la presenza di un nuovo centro-sinistra come unica alternativa etico-politica alla Lega nello spazio pubblico. In conclusione… Ciò che è avvenuto non è la fine del mondo, ma l’esito normale della democrazia. E come deve avvenire in democrazia, da qui bisogna ripartire…
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Fiorenzo Baratelli
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