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Ferrara film corto festival

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Suggerirei di rileggere o leggere, per chi non l’ha ancora fatto, il libro di Amin Maalouf, giornalista e scrittore libanese naturalizzato francese, pubblicato in Italia nel 1993, “Le crociate viste dagli arabi”.
È una lettura utile per chi voglia comprendere le ragioni del millenario conflitto tra Islam e Occidente. Il racconto delle crociate viste con gli occhi degli arabi è un’altra storia rispetto a quella che abbiamo appreso sui banchi delle nostre scuole. Ed è scontato che questo accada, a seconda che si stia dalla parte degli aggressori o delle vittime. Ma ciò che conta è la sensazione che resta al termine della lettura. E cioè l’impressione che prima o poi i nodi dovevano venire al pettine della storia. Solo una ottusa narcisistica arroganza dell’Occidente può ancora pensare di evitare questo appuntamento.
Il punto di partenza delle attuali tensioni può essere datato al 1095, quando i crociati europei lanciarono la guerra santa per conquistare la città di Gerusalemme. La loro invasione ha dato avvio alla guerra santa islamica, la jihad che continua tuttora.
Di fronte alla folle ferocia del Califfato che oggi sgozza i suoi prigionieri o li arde vivi in gabbie di ferro si ha l’impressione di una tragica legge del taglione, di una vendetta della storia nelle mani di un irriducibile fanatismo religioso.
Attraverso il mondo, dall’America all’Europa, dall’Africa al Medio Oriente, dal Pakistan all’Indonesia i fanciulli che frequentano le madrasa, le scuole islamiche, mandano a memoria gli stessi libri: il Corano in arabo antico e l’Hadith, il testo che contiene detti e aneddoti sulla vita del profeta Maometto. Analogamente ai testi Cristiani e di Confucio, queste letture hanno influenzato le menti di innumerevoli generazioni.
In Pakistan ci sono oltre 10.000 madrasa che preparano i futuri leader politici e religiosi. La scuola più importante è Haqqania che ha laureato i leader dei Talebani, e il gruppo dirigente dell’Afghanistan. Nell’ Haqqania gli studenti, dagli otto ai trent’anni, passano da sei mesi a tre anni a memorizzare il Corano in arabo coranico, unico veicolo ammesso per comprendere la parola di Dio, rivelata da Maometto. In questo modo gli studenti di Haqqania e gli studenti delle scuole islamiche nel mondo apprendono un linguaggio condiviso da oltre un miliardo di mussulmani. Non solo ciò consolida i legami tra le nazioni e le comunità islamiche, ma rende saliente il diritto all’apprendimento della propria lingua nei Paesi dove i mussulmani sono una minoranza.
La storia islamica e il diritto islamico completano gli studi degli studenti nella Haqqania. Il corso di storia islamica fornisce loro potenti promemoria dell’imperialismo occidentale. I Paesi islamici ancora sentono l’umiliazione dell’imperialismo occidentale, di conseguenza stupiscono circa la nostra pretesa di essere i progenitori e i difensori dei diritti umani nel mondo.
La giurista Ann Mayer cita il leader religioso Ayatollah Khomeini: “Quelli che sono chiamati diritti umani altro non sono che una collezione di regole corrotte tratte dal Sionismo per distruggere tutte le vere religioni”. All Khamene’i, attuale Guida Suprema dell’Iran, ha commentato, “Per noi la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani non è che una collezione di ‘Mumbo-Jumbo’ dei discepoli di Satana.”
La Dichiarazione del Cairo dei diritti umani, del 1990, si è resa, dunque, necessaria perché la nostra visione dei diritti dell’uomo non è compatibile con la concezione della persona e della comunità che ha l’Islam. Per l’Islam, il diritto all’istruzione è giustificato dall’esigenza religiosa di conoscere il Corano e non dalla dottrina occidentale del diritto naturale. Come risultato, la libertà di pensiero e di espressione nelle nazioni islamiche è ammessa solo in conformità ai dettami della legge di Dio o della Sharia.
Disgraziatamente, il Corano disegna un mondo diviso tra credenti e infedeli. In aggiunta c’è la lunga storia di persecuzioni dei mussulmani da parte dell’Occidente. Ma nello stesso tempo il Corano proibisce la compulsione religiosa, l’imposizione del credo religioso sugli altri.
D’altra parte non c’è nulla nel Corano che proibisca la pace tra i Paesi islamici e le altre nazioni, se nei fatti il Corano stabilisce, “Combatti nel nome di Dio coloro che combatti, ma non essere aggressivo: Dio non ama gli aggressori.” (2:190)
Il tempo e lo sforzo consapevole dell’Occidente come delle nazioni mussulmane potranno cancellare questo antagonismo storico e ridimensionare la dottrina del nazionalismo.
In questa direzione l’Occidente, a partire dal nostro Paese, può compiere da subito un passo in avanti relativamente ai diritti dei mussulmani nei Paesi dove sono minoranza. Non solo consentire la costruzione delle moschee, ma riconoscere il diritto ad apprendere l’arabo coranico come seconda lingua nelle scuole pubbliche. Si tratta di un’importante lingua internazionale che unisce una delle più grandi comunità culturali del mondo. L’arabo coranico potrebbe essere insegnato nelle scuole pubbliche laiche senza l’uso di testi religiosi, così come noi apprendiamo il latino a prescindere dalla chiesa cattolica. Se lo spagnolo, il latino, il tedesco, il francese, l’italiano, l’ebraico, il russo ecc. sono insegnati come seconda lingua nelle scuole pubbliche dell’Occidente, perché no l’arabo coranico?
Aiuterebbe veramente l’incontro tra le culture, quella occidentale e quella mussulmana, al di là di ogni sterile predica di integrazione e di pluralismo culturale.
Nel nostro paese, che consente l’insegnamento confessionale della religione cattolica a spese dello stato, questo diritto ha maggiore motivo d’essere garantito.
Non è accettabile che il diritto all’istruzione, sancito solennemente dalla nostra Costituzione, incontri delle limitazioni nei confronti dei tanti mussulmani che fuggono dalle discriminazioni e dalle imposizioni teocratiche dei governi e dei nazionalismi dell’Islam.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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