Parliamo di lampadine. L’industria delle lampadine si è sviluppata in questi ultimi anni con prodotti innovativi e di qualità, però il consumatore ha ancora una limitata percezione del valore fornito da questo prodotto. Da una parte infatti ci sono i prodotti tradizionali ad incandescenza e fluorescenti che hanno ancora un mercato nonostante abbiano raggiunto un livello limite di evoluzione tecnologica, dall’altro invece per fortuna stanno diventando sempre più comuni forme nuove, più efficienti e più differenziabili, come ad esempio quelle che utilizzano la tecnologia a LED.
Le questioni da valutare prima dell’acquisto dovrebbero essere il risparmio energetico, la salute, il design, la sostenibilità, ma per il consumatore la lampadina è ancora troppo spesso essenzialmente un semplice prodotto per fare luce di cui è scontata la disponibilità e la fruizione. L’attenzione del consumatore è spesso legata solo al suo mancato funzionamento e alla reperibilità del ricambio. Manca dunque la conoscenza più ampia delle funzionalità e dei benefici, creando una spirale negativa per l’industria che si trova così a competere soprattutto sul tema del prezzo. Le sorgenti luminose rappresentano un mercato di circa 130 milioni di pezzi venduti ogni anno e, per questo, hanno assunto un ruolo davvero “speciale”.
Un tema critico importante è anche poi come le smaltiamo quando non funzionano più.
Tutte, anche le lampadine a basso consumo di energia, i tubi lineari e tutte le sorgenti luminose a scarica devono essere separate dai normali rifiuti urbani.
Si consiglia il cittadino di portarle presso i centri di raccolta comunali o isole ecologiche.
Le sorgenti luminose, una volta esauste, sono definite RAEE, ossia Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche, secondo la normativa vigente. I RAEE sono stati suddivisi in base a caratteristiche di omogeneità nei seguenti 5 raggruppamenti:
R1 – grandi apparecchi di refrigerazione, frigoriferi, congelatori, altri grandi elettrodomestici per la refrigerazione e il condizionamento;
R2 – altri grandi bianchi: lavatrici, asciugatrici, lavastoviglie, apparecchi per la cottura, stufe elettriche, forni a microonde, apparecchi elettrici per il riscaldamento e altri grandi apparecchi elettrici;
R3 – tv e monitor con o senza tubo catodico;
R4 – apparecchiature informatiche, apparecchiature di consumo, piccoli elettrodomestici, apparecchi di illuminazione, tutto quanto non esplicitamente presente negli altri raggruppamenti;
R5 – sorgenti luminose (tubi fluorescenti, lampade fluorescenti compatte, lampade a scarica ad alta intensità, comprese lampade a vapori di sodio ad alta pressione e lampade ad alogenuri metallici, lampade a vapori di sodio a bassa pressione, lampade a Led).
Le lampade fluorescenti esauste, rientranti nel raggruppamento R5, sono rifiuti caratterizzati da alcune peculiarità che li distinguono dal resto dei RAEE. Sono costituiti in prevalenza da vetro, quindi risultano estremamente fragili. Contengono mercurio, sostanza dagli effetti pericolosi per l’uomo e per l’ambiente. Sono leggeri e il loro peso complessivo si attesta attorno all’1% delle quantità totali di RAEE. Le tipologie di prodotti di competenza del Consorzio Ecolamp sono gli apparecchi di illuminazione (R4) e le sorgenti luminose (R5), con esclusione delle lampade a incandescenza e ad alogeni, che alla fine della loro vita utile non sono considerati RAEE dalla normativa vigente.

Trovo però interessante anche affrontare un tema di crescente attenzione: il valore della luce.
Ho avuto il piacere di seguire una bella tesi realizzata dalla dott.ssa Ilaria Zanetti dal titolo “Luce come bene sociale nel mercato dell’illuminazione”. Vorrei proporvene una sintesi culturale:
L’industria dell’illuminazione e i suoi attori sono altamente responsabili di una cultura della luce non ancora matura all’interno del mercato e del società; due sistemi strettamente interconnessi al punto che “non c’è mercato senza società”. La percezione limitata del valore del prodotto/progetto di luce riguarda infatti l’individuo sia in veste di consumatore/acquirente con ruolo attivo, sia in veste di fruitore di contesti in cui i progetti di luce sono frutto di scelte fondamentali.
Si osserva una sorta di “incoscienza” che, se da un lato è “ricercata” dall’architetto o dal lighting designer nei grandi spazi per suscitare emozione attraverso un preciso progetto di luce capace di agire sugli aspetti emotivi e irrazionali del fruitore, è tanto più riuscita quanto meno è visibile (sia in termini di apparecchi installati per l’illuminazione, sia in termini di architettura luminosa) dall’altro però non “educa” l’individuo a cogliere e valutare il contributo qualitativo che il progetto di luce apporta alla sua esperienza quotidiana (dal godimento estetico di una bella facciata illuminata in notturna al comfort di una sala studio o di un ambiente di lavoro). Cosa abbiamo fatto nella nostra casa?
Emerge dunque la necessità di promuovere una cultura della “luce come valore” che possa divenire patrimonio condiviso dall’intera società. Affinché questo accada è necessario che:
L’industria dell’illuminazione nel suo complesso superi le criticità intrinseche e sviluppi le potenzialità al fine di rafforzare l’immagine, ancora troppo debole, di “sistema” attraverso gli strumenti offerti dal marketing e dal web 2.0
Intervenga un assunzione di responsabilità da parte dei singoli player della filiera, attualmente poco consapevoli della rilevanza del proprio ruolo all’interno del processo di trasmissione di valore del prodotto luce. Si rende dunque necessaria un’inversione di tendenza: il percorso della luce dalla “creazione” al mercato deve trasformarsi da processo di perdita a processo di arricchimento conservando da un lato la pienezza di valori-funzione e dall’altro inglobando alcuni valori aggiuntivi ritenuti importanti dal consumatore quali la qualità del servizio e del prodotto.
Si attivi un processo di comunicazione del valore sociale della luce con il coinvolgimento di altri attori esterni all’industria dell’illuminazione, come le scuole, il mondo accademico, le associazioni e le istituzioni culturali affinché la luce possa incontrare la società mantenendo integra la pienezza di valori che la caratterizza.
Solo percorrendo le tre direttrici sopraindicate, afferenti agli ambiti del marketing, dell’etica e della comunicazione, è possibile innescare un circolo virtuoso generativo di valore: solo ciò che viene percepito come un bene può creare nuovi bisogni e quindi domanda di mercato.
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Andrea Cirelli
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