LE ESTERNAZIONI DEL VESCOVO
Dalla denuncia alla riflessione: per un percorso di rielaborazione
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Per Pax Christi Ferrara Alessandra Mambelli
sono Alessandra Mambelli e scrivo sia a titolo personale che a nome del punto pace di Pax Christi Ferrara di cui sono responsabile . Scrivo a proposito della vicenda che, a partire dall’articolo pubblicato dal “Fatto Quotidiano” del 25/11, ha coinvolto non solo il vescovo Negri, ma tutta la nostra città ed anche numerosi altri esponenti della società e della chiesa. Scrivo anche a seguito di condivisioni intercorse a più riprese ed in vari modi con tante persone: laici e preti, cattolici e non credenti, attivisti e spettatori.
Quello che prima di tutto vorrei esprimere è la profonda e fortissima sofferenza che questa vicenda ha suscitato in tutti noi: le gravi affermazioni riportate nell’articolo, le strumentalizzazioni che ne sono state fatte, la mancanza di una smentita chiara e rappacificante. Se fosse possibile, sarebbe bello realizzare il sogno infantile di riarrotolare il nastro della storia e sapere cosa il vescovo diceva e intendeva realmente, cosa il giornalista ha sentito, come poteva essere ottenuta una serena chiarificazione, come si sarebbe potuti andare sulla stampa con altri toni e per altri argomenti. Siccome però rifare ciò che è stato non è possibile, mi piacerebbe poter estrarre qualcosa di positivo da una vicenda pur tanto triste, per noi e, suppongo, anche per il vescovo stesso.
In primo luogo leggo come dato positivo il venire alla luce del sentire condiviso di tante persone, di fede e di cultura diverse, persone qualunque e socialmente impegnate, che hanno finalmente espresso apertamente la loro solidarietà al papa ed il loro disagio rispetto ad atteggiamenti e frasi del vescovo, disagio tante altre volte taciuto. Se ci trovassimo in un contesto di indifferenza o di ostilità nei confronti della chiesa, a nessuno sarebbero importati eventuali dissidi interni, ma evidentemente sussiste un’intima intuizione, un suggerimento dello Spirito Santo, che la missione della Chiesa e il messaggio di questo papa sono di fondamentale importanza per la storia dell’umanità.
In secondo luogo credo che quanto accaduto possa particolarmente insegnarci quanto è importante il linguaggio che usiamo. Con le parole si può anche uccidere, e tanto più dovremmo stare attenti ad usarle quanto più ricopriamo ruoli pubblici o ci troviamo in luoghi pubblici. E questo vale per tutti, per il vescovo come per ciascuno di noi.
In terzo luogo, ma come più importante insegnamento, penso che dovremmo prendere spunto da questa vicenda per iniziare a cercare e trovare modalità e luoghi per confrontarci, tra clero e laici, cittadini e vescovo, religiosi e uomini di buona volontà, sulla lettura della realtà, da un lato, e sul modo di annunciare il vangelo dall’altro. Troppo spesso, infatti, come fedeli abbiamo colpevolmente taciuto, a volte anche perché non ci sono stati dati spazi ed occasioni per esprimerci: non abbiamo permesso al nostro dissenso e al nostro disagio, così come alle nostre competenze e conoscenze, di diventare arricchimento ed opportunità per tutta la comunità ed anche per il vescovo. E d’altra parte la voce del vescovo, non avendo luoghi e modalità di confronto con l’assemblea dei credenti, è suonata spesso come autoritaria ed ostile. Penso e pensiamo che, se cambierà il nostro modo di essere e di esserci nella Chiesa, si potranno evitare episodi così incresciosi come quello che abbiamo appena vissuto e sarà invece dato più spazio al dialogo su questioni fondamentali per la vita delle persone e delle comunità.
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