Skip to main content

Ferrara film corto festival

Ferrara film corto festival


Da: Marcella Mascellani

Una sera Ivana mi ha detto – “Celly tu che scrivi…..scrivi di noi” – e io – “Come di voi?”- e lei di nuovo – “Si, qualcosa di noi, per quando non ci saremo più, sulla vita che abbiamo fatto.
Voglio che rimanga memoria”-.
Ho cercato, così, di ricordare.
Con la mente sono dovuta tornare agli anni ‘70.
Via Bardella è la penultima via sulla sinistra di Via Vallelunga venendo da Pontelagoscuro (Ferrara) e mette in comunicazione, appunto, i Paesi di Pontelagoscuro e Casaglia.
Fino a pochi anni fa lo dovevi spiegare da dove venivi perché pochi sapevano dove fosse Via Vallelunga.
Si chiamano Ivana, Lina, Elena, Luciana, Silvana, Lella, Carla.
Questi non sono o, per alcune di loro che non ci sono più, non erano i loro veri nomi.
Non ho mai saputo quale fosse il loro cognome. Per alcune l’ho visto comparire sull’epigrafe di annuncio della fine della loro esistenza.
Il loro nome veniva associato al cognome del marito, al Paese di provenienza o ad un aggettivo che la distinguesse l’una dall’altra quando avevano lo stesso nome.
Se una aveva la carnagione scura, al suo nome veniva affiancato l’aggettivo “mora”, se era di un’altra città si aggiungeva, invece, “la furesta”, e, se non aveva alcun segno particolare, si associava il cognome del marito.
Ho un nitido ricordo di loro nelle giornate estive.
Il tardo pomeriggio tornavano dalla campagna in motorino, provate da un sole che le piegava, con gli stivali, le camicie dei mariti, le ginocchia macchiate dalla terra, il fazzoletto in testa e sopra il cappello per ripararsi dalla canicola estiva.
Era finito il loro impegno lavorativo, ma c’era il resto: i figli da accudire, il marito da servire, i suoceri e i genitori da assecondare.
Anni più tardi il Dipartimento di Storia Culturale – Università di Bologna – si occuperà delle donne di quegli anni definendo il loro operato “il lavoro di cura, gravoso e scontato”.
Nessun lamento, nessun cedimento. Quando la vita diventava pesante andavano dal neurologo. Il problema era fisico, non psicologico…una pastiglia prima di dormire e via al giorno dopo, senza tregua.
Quando terminava il periodo del raccolto in campagna c’era “la mola”. Si poteva accedere alle terre oramai lasciate al raccolto libero.
Io ero felice quando riuscivo a seguirle per raccogliere le fragole.
Tra loro c’era anche chi non lavorava fuori casa: padrona del proprio tempo, aveva comunque una giornata che iniziava molto presto. La casa da rassettare, il cibo da preparare e nessun aiuto perché era un privilegio non dover lavorare fuori casa. Si doveva dimostrare il doppio nel contribuire all’economia famigliare.
Nelle sere d’estate tutte a far “filò”; un ghiacciolo o una fetta di cocomero per svago. Quando poteva, Guido, marito di Elena, ci rallegrava la serata suonando la chitarra e cantando per noi tutti.
Attardandosi nell’ andare a dormire, cercavano di godere il più possibile della frescura serale per poi affrontare la calura della notte. Era un gran privilegio possedere un ventilatore.
La domenica pomeriggio l’uscita conviviale del collettivo in prevalenza al femminile era anticipata: la Norma preparava un dolce al cucchiaio e l’Elena sorreggeva un gran vassoio argenteo con appoggiata sopra la moka grande del caffè e il servizio buono di porcellana con relativa zuccheriera in peltro.
A volte, a qualcuna di loro, veniva l’idea di santificare la giornata “friggendo i pinzini”.
In questo modo si poteva distinguere la giornata di “festa”.
Ognuna si sedeva, con la propria sedia, in cerchio, al proprio posto, occupando una parte laterale della via. Se ci si spostava, perché magari doveva passare un’auto o si aggiungeva qualcuno, si manteneva lo stesso ordine dei posti.
Durante l’inverno erano impegnate, tutte in casa propria, nel lavoro nero. Si, era una vera e propria gara, ma se qualcuna di loro era in difficoltà nel portare a termine la “partita assegnata”, (mi ricordo le spine elettriche e i bambolini) le altre correvano subito in aiuto.
Nessuna pietà per chi si sottraeva al proprio dovere, nessuna scusa. Un impegno morale le accumunava.
Le “Bardelare”, così venivano chiamate le donne di Via Bardella,
sono tutte le donne di quel tempo nel quale non era facile essere donne.
Non c’erano promesse nel loro futuro, solo certezze rispetto a quella che sarebbe stata la sequenza della loro vita.
Donne che non potremo mai dimenticare e delle quali ho sentito la necessità di tradurre i ricordi in parole, il mio modo di ringraziarle per aver contribuito, senza saperlo, a fare la nostra storia.

Ferrara film corto festival

Iscrivi il tuo film su ferrarafilmcorto.it

dal 23 al 26 ottobre 2024
Quattro giorni di eventi internazionali dedicati al cinema indipendente, alle opere prime, all’innovazione e ai corti a tematica ambientale.

tag:

Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it