Skip to main content

In questa occasione presentiamo un libero e prestigioso contributo da parte di Pierfranco Bruni, celebre scrittore, direttore archeologo e consulente del Mibact per le Etnie Mediterranee, inviatoci in occasione del V centenario dell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto. Bruni è tra gli autori più tradotti all’estero ed è stato candidato Premio Nobel 2015 da parte del Sindacato Libero Scrittori di Roma, a suo tempo diretto da Francesco Grisi, di cui lo stesso Bruni è vicepresidente. Nello scritto di Pierfranco Bruni, l’Orlando Furioso è articolato ed espanso verso certe sinergie fra Rinascimento e Barocco, focalizzando anche la poetica del misconosciuto Teodoro Fiordiluna, connesso in scenari più globali tra Occidente e Oriente. Ecco il testo dello scrittore.

(di Pierfranco Bruni)

Tra il Rinascimento e il Barocco si sviluppa un ‘fare’ poesia che è contornato da un modello in cui la leggenda, il raccontare tra “le donne, i cavallier, l’arme, gli amori…” prende un deciso sopravvento. Una tradizione che trova negli incisi medioevali una dimensione onirica e di gesta che è abbastanza rilevante e che attraversa, inevitabilmente, la stagione dell’Umanesimo per farsi voce proprio nei processi poetici affabulistici rinascimentali e seicenteschi.
Le presenze dei rimandi mediterranei sono tasselli simbolici forti e si intagliano in un incontro tra cultura d’Oriente e modelli occidentali di scavo latino. Meglio sarebbe dire un incontro che è scontro di culture e di civiltà, tra il mondo cristiano e gli infedeli – qui per infedeli si legge musulmani.
Si pensi a Ludovico Ariosto e alla trama e interpretazione del suo “Orlando furioso”, la cui prima edizione risale al 1516, proprio cinquecento anni fa, composta da quaranta canti (verranno pubblicati postumi altri “Cinque canti”).
Oltre ad Ariosto, sulla linea che sto tracciando insistono chiaramente sia l’“Orlando innamorato” sia la “Gerusalemme liberata”, il cui centro scenico è sempre la corte degli Estensi. Il dato letterario e culturale più ampio però è la visione delle sfaccettature di due mondi, quali sono quello Cristiano e quello Musulmano, ben definiti come Occidente e Oriente. Definizione che nel corso dei secoli non può più ritenersi così rigida. Questi tre poemi costituiscono in ogni caso una vera e propria scuola di pensiero, oltre che una scuola poetica e letteraria.
Una scuola che troverà nel Cervantes un punto di riferimento che è un’appartenenza onirica certamente, ma è anche un’eredità in cui poesia e follia sono collegamento estremo e che giungerà a una forma di teatralizzazione la cui sintesi verrà incarnata da Luigi Pirandello.
È infatti il Pirandello mediterraneo e siciliano di Girgenti che porterà sulla scena le due culture, grazie agli archetipi della recita e dei pupi che diventeranno personaggi tra linguaggio e carattere.

A questo vissuto, che parte proprio dal Rinascimento e si definisce nel Barocco per inglobarsi nella contemporaneità pirandelliana, appartiene un poeta completamente sconosciuto che risponde al nome di Teodoro Fiordiluna, di cui non si sa nulla. Un poeta nato nel napoletano, ma vissuto probabilmente non a Napoli, appartenente al XVII secolo, come ho riscontrato da alcune ricerche.
Ci sono alcuni versi che fanno esplicito specchio alla poesia di Ludovico Ariosto e sembrano, i versi, condensare il tutto del raccontar leggenda dell’Orlando. Si legge in una sua poesia dal titolo “Amoreggiar e armeggiar” un viaggiare che ci conduce immediatamente all’Orlando.

“Ad amoreggiar non fu lungo il tempo
se le parole tue abbiano in me lasciato lo scorticar del dolore
sul viaggiar delle miserie umane che a nobilitate sorte non fu.

Angelica non dea ma novella amante di Medoro
che mai fuggì
e speranza volle a disdegnar Orlando
che furioso d’amor folle
giunse a respirar lune e ciel.

Temporal di mare e cristiani
e saraceni
di sangue dipinsero acque
mai chete
nella leggenda
che non fu d’Oriente
magia non assopita.

Orlando combatter di pugna
in terra sacra non poté
per vincitor che non fu d’amor perso
e luce Angelica portò
sino a fuggir
con l’amante suo
sul sogno che si avverò.

Amoreggiar e armeggiar
ma di cuore e di bocca
Angelica e Medoro
si unirono”.

In effetti questi versi ripropongono il canto già conosciuto. Ciò che incuriosisce e pone degli interrogativi letterari è la perfezione del verso, lo stile e anche l’eleganza che assume una peculiare importanza. Tutti questi elementi ci fanno comprendere come Teodoro Fiordiluna conoscesse molto bene non solo Ariosto, ma tutta la temperie contestualizza nella poetica ‘cavalleresca’.
È chiaro che si tratta di una realtà poetica straordinaria e significativa sia sul piano semantico che su quello strettamente estetico-metaforico. Un percorso da riconsiderare su tre prospettive: letteraria, storica, religiosa. Ariosto, infatti, pone la sua opera intorno a questo triangolo che è rappresentato da una lingua che esce dall’ambito medievaleggiante, da una traducibilità che va dalla letteratura ai fatti politici, da una inequivocabile rapporto tra teologia e filosofia.
Gli amori sono intrecci che abitano un tale ambiente. Teodoro Fiordiluna va subito al nodo della questione. Amoreggiare e armeggiare. Due concetti che sono l’anima sia di Ariosto, sia di Matteo Maria Boiardo sia di Tasso.
In Fiordiluna proprio l’incipit dell’Orlando è il segno implacabile di una familiarità con quel verseggiare. Infatti egli canta ciò che Ariosto scrisse: “l’audaci imprese io canto…”.

sostieni periscopio

Sostieni periscopio!

tag:

Roby Guerra



Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it