Le dimissioni di Luigino e i pugnali di gomma della nostra Repubblica
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Luigino ci è rimasto male. Per spiegare le sue dimissioni da Capo Politico ci ha messo tre quarti d’ora. Non per annunciare il suo passo indietro, quello lo conoscevamo già tutti, ma per lamentarsi, sfogarsi, lanciare velati avvertimenti ai colleghi e ai falsi amici (Dibba in testa) che gli hanno assestato una o più pugnalate alle spalle.
Prima di Luigino, Matteo Renzi è incappato nello stesso, spiacevole inconveniente. Una brutta storia, che Matteo non riesce proprio a mandar giù. Beh, è comprensibile, pugnalate e tradimenti non piacciono a nessuno. Così, da due anni a questa parte, tutte le volte che un giornale lo intervista, o quando riesce a tornare in televisione, anche se si parla di Libia o di Alitalia o di new economy, lui la ritira fuori. Ai sicari non promette vendetta, non sta bene e non conviene, ma fa capire a tutti che si vendicherà eccome. Un politico è un lupo per gli altri politici, la sua idea è quella lì. Uguale a quella del dimissionario Luigino.
C’è però qualcosa che non funziona nella narrazione (parola idiota ma adesso si dice così) di Luigino e Matteo. E cioè: se uno che credevi un amico e sodale, uno del tuo campo, uno che vedi e con cui parli tutti i giorni, trama contro di te, se col favore dell’ombra sta affilando il suo pugnale, perché non te ne sei accorto? Perché non l’hai smascherato, allontanato, denunciato? Perché non l’hai fatto fuori, prima che lui facesse fuori te? E c’è un’altra cosa che proprio non quadra. Se ti hanno pugnalato alle spalle, perché non sei morto?
Cesare Augusto – era un politico dell’Ultima Repubblica – dai 17 congiurati si prese 17 pugnalate in pieno Senato. Non sappiamo se tra loro ci fosse la presidente Casellati, ma c’era sicuramente Bruto, il figlioccio di Cesare. E’ improbabile che, con diciassette coltellate in corpo, il dittatore romano avesse ancora il fiato per pronunciare la celebre profezia all’indirizzo di Bruto. Quel che è certo è che Cesare stramazzò al suolo e tirò le cuoia.
E’ facile notare due plateali differenze tra il regicidio di Cesare e gli accoltellamenti di Renzi e Di Maio. Punto primo, Cesare è stato affrontato di petto, a viso aperto, in pieno Senato della Repubblica, mentre i due leaderini della nostra repubblica sarebbero stati assaliti da dietro. Seconda differenza, decisiva: il grande Cesare è perito nell’attentato delle Idi di marzo, mentre Luigino e Matteo non sono solo sopravvissuti, ma non hanno riportato nemmeno un graffio.
Caio Giulio Cesare è affidato ai libri di storia, di Maio e Renzi continuano a popolare quello che Berlusconi (un pugnale che funzioni con lui non l’hanno ancora inventato) ha definito genialmente il ‘teatrino della politica’. Generalmente fondano un nuovo partito con nuovi amici.
E Bruto? Il povero Bruto, che oltre ad essere “Un uomo d’onore”, era un sincero democratico e difensore della Repubblica, fu puntualmente sconfitto nella battaglia di Filippi e non gli rimase altro che suicidarsi. Invece i presunti congiurati di oggi – gli occulti e maldestri pugnalatori dentro il Pd e nei 5 Stelle – se la passano piuttosto bene. Gli capita anche di incontrare le loro presunte vittime alla buvette del Parlamento, fare uno spuntino e scambiare due chiacchiere.
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Francesco Monini
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