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Ho dedicato all’osservazione e alla decifrazione di Ferrara ben quattro lunghi anni di scrittura e documentazione fotografica. Ne è venuto fuori un reportage strampalato, d’accordo, ma quello che ho appreso, in questi anni, è quanto, al di là delle continue e meritevoli occasioni di dialogo offerte dalla città, sia lo spazio pubblico a parlarci delle nostre condizioni odierne. Ed è in grado di farlo con una sincerità che abita tra le maglie, che va scrutata nei gesti, nell’apparenza, per essere poi tradotta, con abnegazione e fatica.

Ebbene, questa volta l’occasione per interrogarci sulla città viene da una serie di filmati che girano in rete dal 16 ottobre scorso. Ritraggono alcuni leghisti ferraresi, i quali strumentalmente radunano clochard nel centro storico, li prendono in via Beretta convincendoli, con vaghe promesse d’aiuto, a seguirli davanti alla sede dell’arcivescovado.
Le persone in questione sono in evidente difficoltà psico-fisica e il chiaro intento dei leghisti è usarli per attaccare il vescovo Perego, l’amministrazione, e strizzare l’occhio all’elettorato di questa città in qualità di partito d’ordine, del ‘fare’ a favore esclusivo e indistinto degli ‘italiani’.
Se si osservano i filmati con cura, si capisce che il raid dei leghisti è un’operazione elettorale a sfondo razzistico e discriminatorio, fondata cioè sulla dicotomia italiano-straniero. E non c’è dubbio che l’operazione si annidi negli interstizi lasciati aperti da una politica per troppo tempo realmente distante dai problemi della gente comune.
Tuttavia la scena finale, proprio lì, sul corso intitolato ai martiri della libertà, è squallida e umiliante per tutti. E parla di noi.

“Questa gente continua a dormire nel centro di Ferrara e nessuno muove un dito”, dice il leghista rubicondo e tarchiatello, protagonista dei filmati. Ma al di là dei proclami, si intuisce che il problema vero è la visibilità dei clochard, il fatto che siano nel salotto buono e deturpino, con la loro presenza, il decoro dei luoghi cittadini.
Il vero consenso, beninteso, verrà dalla semplice cacciata dei barboni: si tratta della politica di breve raggio a cui i leghisti ci hanno abituato, quella di allontanare i problemi, non certo di risolverli con dignità.
La preoccupazione per le sorti dei ‘senza tetto’, poi, non è che mera finzione scenica al punto che, in un attimo di lucidità sospettosa, uno dei protagonisti, il clochard-panettiere, colto da dubbi, si arresta, lancia le sue coperte sul marciapiede e chiede: “Aspetta, perché io non capisco, questa è una tua cosa che ci tieni veramente o la fate per…”. In un altra ripresa lo stesso clochard-panettiere dirà: “Sai cosa mi fa incazzare: che stiamo dando spettacolo!”. Oppure sempre più consapevole della strumentalizzazione: “Vi siete divertiti stasera? Avete passato una serata differente?”.

Insomma, i filmati sono in rete e ognuno ne potrà trarre le proprie conclusioni.

Quello che vorrei fare qui, dicevo in principio, è isolarne lo sfondo. E sullo sfondo di questi filmati, nello spazio in cui la pagliacciata prende forma, si scopre una città distratta.
Mi interessa, dell’accaduto, la città gremita di gente del mercoledì sera, mi interessano i passanti, la folla vociante della movida a pochi passi. Si tratta di una città svagata e impolitica come il resto del Paese, che magari osserva incuriosita la scena e procede con una disarmante indifferenza. Nessuna attenzione, nessun coinvolgimento, a parte una donna che chiede se sono autorizzati a filmare delle persone in evidente difficoltà e viene per questo zittita dai leghisti con slogan preparati ad arte.
Anzi, ad aggiungere amarezza all’immagine, c’è lo schieramento di forze dell’ordine, il quale a sua volta manda un messaggio chiaro. Già, quella presenza sproporzionata, dispiegata grazie alle telefonate fatte in diretta video dal tozzo e rubicondo leghista, ci dice che non c’è nulla di cui preoccuparsi, che lo Stato è lì con ‘loro’, col raid xenofobo e strumentale, di ordine e pulizia cittadina. L’igiene è salva.

Forse allora è da questo sfondo notturno che occorre ripartire. Sì perché qualsiasi spazio pubblico vissuto da semplici estranei può trasformarsi in uno spazio privato, in uno spazio chiuso, ideale per la sospensione dei diritti e per i soprusi. E oggi a Ferrara i leghisti si muovono negli spazi pubblici come fossero a casa loro. La disinvoltura, l’uso di strumenti istituzionali e mediatici, lo sprezzo ostentato, non possono che esser generati dalla certezza di non essere mai massicciamente contestati nei loro arbìtri da chi li circonda.

Da qui l’invito a tutti quelli che hanno a cuore la città, a lavorare per costruire una città fieramente antifascista in ogni sua piega, in ogni piazza e vicolo. Questo potrebbe essere il proposito più importante dei prossimi decenni. Fare di Ferrara una città aperta, in cui lo spazio pubblico sia tutelato anche attraverso l’attenzione e il coinvolgimento di ogni singolo cittadino.
Fare politiche per radicare le persone, affinché il corpo della città sia quanto di più simile a un unico luogo di cura reciproca, di partecipazione e relazione, perché la vera sicurezza è sapere di non essere soli tra estranei, ma circondati da con-cittadini. Questo aiuta e facilita enormemente, benché gravemente sottodimensionate, anche il lavoro delle forze dell’ordine.
Se il tempo delle deleghe è concluso e direi fallito del tutto, e se il pericoloso allineamento tra pratiche di repressione e rigurgiti fascisti in Italia non è mai stato così vergognosamente ostentato, allora la prima difesa della città viene dal civismo diffuso, dalla coesione sociale, che costringe alla trasparenza, spegne la violenza e assicura diritti.

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Sandro Abruzzese

Nato in Irpinia, vive a Ferrara dove insegna materie letterarie in un istituto d’istruzione superiore. Per Manifestolibri ha pubblicato Mezzogiorno padano (2015). Con Rubettino ha pubblicato CasaperCasa (2018) e Niente da vedere (2022). Sul suo blog, raccontiviandanti, si occupa di viaggio e sradicamento. Suoi contributi sono apparsi su diversi quotidiani e su siti letterari tra i quali Doppiozero e Le parole e le cose.


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