“Non si dovrebbe sottovalutare la noia come fonte di meditazione e fantasticherie, le centinaia di ore della tua prima infanzia in cui ti sei trovato solo, privo di stimoli, senza niente da fare, troppo svogliato o distrutto per voler giocare con i tuoi camion o le tue automobiline, per prenderti la briga di schierare i tuoi cowboy e indiani in miniatura… E siccome fuori pioveva o faceva troppo freddo per uscire di casa, languivi in un torpore ombroso e depresso, ancora troppo giovane per leggere, per telefonare a qualcuno, sognando un amico o un compagno di giochi che ti facesse compagnia… Temutissime ore di noia, lunghe ore solitarie di vuoto e silenzio, intere mattine e pomeriggi in cui il mondo smetteva di girare intorno a te, eppure quel terreno sterile si rivelò più importante di tanti giardini in cui avevi giocato, perché è li che ti sei addestrato a stare da solo, e una persona può lasciare libera la mente solo quando è sola”. (P. Auster, 2013, Notizie dall’interno, p. 37).
Questo affascinante brano tratto da un romanzo in forma autobiografica dello scrittore americano Paul Auster, mi serve come spunto per riflettere su un’esigenza che questo tempo nega: consentire lo spazio per la noia. Lasciare che emerga un tempo vuoto nella scansione delle proprie giornate è la condizione per riflettere sul senso di ciò che stiamo facendo, per ascoltare i propri desideri e sviluppare un pensiero creativo. Esigenza primaria che contrasta con un’attitudine diffusa a gestire il tempo libero con l’impegno ossessivo a chiudere ogni possibile spazio di tempo vuoto.
Anche nel rapporto con i bambini si commette, per lo più, l’errore di non lasciare spazio alla noia. I bambini sono sommersi e soffocati di proposte. I genitori occupano tutto il tempo dei bambini con le più varie attività e riempiono ogni spazio. Crescono bambini che non sanno fare i conti con la noia e con un tempo vuoto, non sanno giocare da soli e baloccarsi con i propri pensieri, magari inventando storie immaginarie a partire da semplici oggetti quotidiani.
La tendenza a riempire ogni momento talvolta risponde al senso di colpa per non dedicare ai figli abbastanza tempo e attenzione, spesso è una proiezione degli adulti che propongono ai figli cose che loro stessi avrebbero voluto fare e vivendo in tal modo i bambini come un prolungamento narcisistico di sé.
La saturazione di ogni spazio è anche un dato culturale di questo tempo: l’idea che ogni spazio debba essere indirizzato a qualche utilità, ad apprendere una specifica capacità. Un’idea di utilità che riduce lo spazio del gioco, lo spazio dell’astrazione e del pensiero simbolico, in nome di un precoce apprendimento di abilità. Vince così la concezione dell’apprendimento come performance da raggiungere ad ogni costo. In questa esasperata ricerca di formazione di competenze si esprime anche una delega agli esperti dell’apprendimenti: si preferisce pagare il corso piuttosto che condividere attività da fare insieme.
Nel futuro questo mancato apprendimento ad assecondare i propri ritmi e vocazioni, può provocare la tendenza a riempire il tempo con oggetti che anche in quel caso sono sostituti del desiderio, oggetti di consumo, cibo, fino alla droga. Imparare a non otturare ogni mancanza è la condizione necessaria per accedere al desiderio. Così da adolescenti i ragazzi che non sono abituati a fare i conti con la mancanza, faticano a dire cosa vogliono.
La condizione per desiderare è la mancanza, se questa viene tappata con oggetti, cose o progetti costruiti da altri, non solo viene impedito l’accesso al desiderio, ma non ci si abitua a fare i conti con la frustrazione.
Bambini abituati a stare solo con adulti, che non sanno giocare da soli, saranno adulti che non sapranno fare i conti con le inevitabili frustrazioni della vita: quando queste si presenteranno li troveranno impreparati a fronteggiarle.
Chiara Baratelli è psicoanalista e psicoterapeuta, specializzata nella cura dei disturbi alimentari e in sessuologia clinica. Si occupa di problematiche legate all’adolescenza, dei disturbi dell’identità di genere, del rapporto genitori-figli e di difficoltà relazionali.
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Chiara Baratelli
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