Cosa resta di Expo 2015? Ancora poche ore e la macchina meneghina dell’esposizione mondiale chiuderà i battenti al pubblico, lasciando sul terreno numeri, conti, opportunità colte e opportunità perse.
Nella girandola di cifre che si rincorrono in queste ore fa molta eco il numero di biglietti venduti, che dovrebbero aver superato i 20 milioni: parrebbe quindi che il traguardo delle presenze auspicato dagli organizzatori sia stato raggiunto. Invece, in una conferenza stampa dello scorso aprile, Giuseppe Sala – Commissario Unico di Expo e amministratore delegato della società Expo (i cui soci sono ministero dell’Economia e delle Finanze, Regione Lombardia, il Comune, la Provincia e la stessa Camera di Commercio di Milano) aveva chiaramente spiegato che per “un pareggio di bilancio sarebbe necessario vendere 24 milioni di biglietti.”. Forse i conti non tornano ancora, ma le cifre esatte verranno comunicate dalla stessa Expo nelle prossime settimane.
Il bilancio di Expo non sarà dunque chiaro e leggibile già da domani, ma cosa resterà di Expo per l’economia italiana è fin d’ora tema di dibattito. Da una ricerca commissionata dalla Camera di Commercio ed Expo Spa, coordinata nel 2013 da Alberto Dell’Acqua (docente di Finanza aziendale alla Sda Bocconi) con Giacomo Morri ed Enrico Quaini, il giro d’affari che ha ruotato e ruoterà intorno ad Expo è e sarà di circa 23 miliardi di euro.
Per quello che riguarda l’indotto, fra i risultati degli investimenti della società Expo e dei Paesi partecipanti e l’effetto dei flussi turistici, la stima era di circa 14 miliardi, ma questa è ovviamente una cifra ipotetica, che si potrà verificare solo nei prossimi anni, a consuntivo delle ricadute reali. Altro capitolo è il valore della legacy – l’eredità – che secondo lo studio di Dell’Acqua supererebbe di poco i 6 miliardi di euro: in questo campo Expo si andrà a scontrare con la reputazione pre-Expo del Paese. L’effetto delle nuove relazioni industriali e imprenditoriali portate da Expo stesso saranno soggette alle politiche economiche nazionali e locali dei prossimi anni e questo pone oggettivamente dei dubbi. Se le stime venissero confermate, il ‘Pil’ dell’Expo sarebbe di 10 miliardi, spalmati da qui al 2020: a conti fatti aggiungerebbe solo un paio di decimali di punto all’anno alla crescita nazionale. A fronte di un investimento pubblico di 1,3 miliardi di euro e data la relatività dei dati di previsione sui benefici futuri, i dubbi sul successo reale per il sistema Italia portato avanti da alcuni economisti non sembrano del tutto infondati.
Altra voce interessante da valutare la nascita di circa 190.000 posti di lavoro: un dato rilevante, anche se si tratta di una stima che va dal 2012 al 2020, quindi anche gli effetti sull’occupazione saranno stimabili solo sul lungo termine e verranno valorizzati e consolidato solo a fronte di politiche nazionali incisive. La Cgil Lombardia, in una lettera aperta alle istituzioni, ha richiesto di certificare le competenze dei lavoratori di Expo. “Chi ha lavorato in Expo ha diritto a vedersi certificate le competenze acquisite. Molti lavoratori erano giovani alla prima o primissima occupazione o disoccupati in fase di riconversione professionale. Per potersi ricollocare non servono promesse, ma poter spendere il valore della professionalità acquisita”. Secondo Benaglia, segretario lombardo del sindacato, la Regione Lombardia, a fronte di un protocollo con cui tutte le parti sociali avrebbero accettato di mettere in campo più flessibilità per il lavoro in Expo, aveva promesso 20 milioni di euro per sostenere l’ingresso e il riorientamento dei lavoratori. Nel frattempo l’agenzia Openjobmetis ha siglato un accordo sindacale per un progetto di continuità professionale per i circa 400 lavoratori impegnati a Expo, con corsi di riqualificazione e ricollocazione. Qualcosa si muove.
Da lunedì faremo i conti con il dopo-Expo e – bilanci a parte – sbirciare cosa succede quando un’esposizione mondiale come questa finisce è interessante. Ci sono da smontare i padiglioni e bonificare un milione di metri quadri di terreno, innanzitutto. Poi bisognerà capire come riutilizzare tutta l’area espositiva, estesa quanto 140 campi di calcio.
Alcuni Paesi non hanno ancora ben definito cosa accadrà delle loro strutture, una volta smantellate e caricate sui cointeners, mentre altri hanno le idee chiare. Qualche Stato le riporterà a casa per farne centri di ricerca, mall, biblioteche, monumenti, altri invece li hanno destinati ad altri usi, come il Principato di Monaco che trasferirà la propria in Burkina Faso, per diventare la sede della Croce Rossa. O come l’oasi degli Emirati Arabi, che andrà a Masdar City, la città green progettata dall’archistar Norman Foster e le sfere di vetro che ospitano la biodiversità dell’Azerbajan saranno installate in un parco pubblico di Baku.
E noi? Per adesso si sa per certo che Palazzo Italia rimarrà in piedi nel post evento, come spiegato da Diana Bracco, commissario dei contenuti del Padiglione Italia. “La mostra allestita dentro la struttura si dovrebbe prolungare oltre il 31 ottobre”, ha spiegato la Bracco, ma bisogna capire chi dovrebbe gestire la mostra e come si può rendere accessibile in mezzo ai cantieri di smontaggio, che proseguiranno almeno fino al 30 giugno 2016. Probabile una chiusura temporanea e la riapertura a fine lavori. Anche il Padiglione zero – quello che documenta il rapporto uomo-cibo e la filiera alimentare – dovrebbe restare.
Il governo, nel frattempo, per bocca del ministro all’Agricoltura Maurizio Martina, durante la giornata dedicata all’eredità di Milano 2015 ha ufficializzato la sua volontà di entrare nella società Arexpo, proprietaria dei terreni di Expo. Questo perché entrerà a fare parte del progetto di realizzazione di un polo della ricerca e dell’innovazione, che dovrebbe sorgere proprio sul milione di metri quadrati sui quali sorge Expo. A quanto pare, inoltre, la gestione del sito potrebbe restare allo stesso gruppo di lavoro che ha guidato la nave di Expo e curerà la smobilitazione del sito entro il 2016, via ai lavori nel 2017 e conclusione entro il 2020.
La prospettiva più accreditata vede metà dell’intero sito riutilizzato come polo tecnologico-universitario. L’idea di Assolombarda è di creare una Silicon Valley tutta italiana e – a quanto dichiarato da Fabio Benasso, Ad di Accenture e responsabile per Assolombarda di “Milano post-Expo” – lo Stato dovrebbe investire circa un miliardo, i privati i fondi necessari per le loro strutture. Le manifestazioni di interesse raccolte da Arexpo sono però anche altre: l’università Statale, Consob, Coni e Coop.
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Ingrid Veneroso
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