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L’amore può sorprendere sempre, anche a ottant’anni. Piangi pure (Bompiani, 2013) di Lidia Ravera – da cui è stato tratto lo spettacolo di Lella Costa e Paolo Calabresi Nuda proprietà per la regia di Emanuela Giordano – è la fenomenologia di un amore senile che vive di passione, attese e corpi che si cercano, persino nella malattia.
Iris ha 79 anni e si innamora di Carlo, quasi coetaneo. Anche lui si innamora di lei, non importa se ha una moglie molto più giovane che si comporta come un’infermiera, in quello scampolo di vita che gli rimane, vive il suo amore con Iris e per Iris. C’è poco tempo, ma è un tempo libero da incombenze e doveri, è il loro tempo insieme. Dormono insieme, si baciano e si desiderano. Lui che riesce a guardarla “con gli occhi chiusi”, lei che riesce a sentirsi ancora piacente e agile da quando, quarant’anni prima, smise di esserlo e si rifugiò fuori da tutto, lontana dall’amore, in silenzio.
Iris, dopo avere lasciato il marito e una figlia piccola con cui non è mai riuscita a fare pace, per un’illusione durata sette mesi, ha vissuto scansando l’amore ed espiando la vita.
A quasi ottant’anni, un’altra possibilità di qualcuno che la scelga e glielo dica: “mi dedicherò a te”, questa è la decisione di Carlo. Anche Iris si dedicherà a Carlo, gli farà spazio, riuscirà a essere felice e a riguardare, tramite lui, il proprio passato.
Era stata una scrittrice, aveva narrato di sè in un romanzo e poi aveva chiuso anche con la scrittura, finchè un giorno Carlo, che è uno psicanalista con cui tutti i giorni Iris prende un caffè, le chiede di cominciare a tenere un diario dove finiranno impresse nuove pagine di vita, del presente, di un amore che nasce poco a poco e dei legami familiari traballanti e distanti. Soltanto alla nipote 27enne che fa della vita un mordi e fuggi di relazioni, Iris confessa di essere innamorata con la stessa naturalezza che si usa con un’amica fidata.
E come quando ci si innamora che la gerarchia degli impegni e della dedizione ha solo un senso, Iris stravolge una vita di abitudini e solitudine per lui, la riempie d’amore. Lo accompagna nella malattia, sa esserci, Carlo con una mano si appoggia al bastone, con l’altra alla spalla di Iris.
Lei che, dopo avere venduto la nuda proprietà della casa, aveva iniziato a pensare alla morte pur godendo di ottima salute, si sta incamminando con Carlo lungo un sentiero obbligato che non si sa quanto durerà. Una sera, a cena, parlano della morte e decidono che non esiste, “non è un’esperienza, non può essere vissuta nè raccontata nè testimoniata. Dunque non esiste”.
Riescono a nominare tutto e a non rinunciare a niente, l’ironia e il disincanto sono il loro codice, vivono il “vantaggio dell’ultimo tratto di strada”, senza convenzioni, orari e mete, ma l’amore, anche a ottant’anni, proietta in avanti, ti fa vivere gli eventi.
C’è un viaggio da fare, Carlo vuole tornare dov’è nato, solo Iris può accompagnarlo, un’altra intimità tra loro è possibile, come due sposi.

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Riccarda Dalbuoni

È addetto stampa del Comune di Occhiobello, laureata in Lettere classiche e in scienze della comunicazione all’Università di Ferrara, mamma di Elena.

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