L’amara e dolce resina dell’oblio. ‘Ad ora incerta’ riecheggiano
le parole di Primo Levi
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Da BERLINO – È una rarità rivolgere l’attenzione di studioso e letterato all’opera poetica di Primo Levi, più spesso ricordato se non addirittura costretto nelle strette maglie del “sopravvissuto” e del “testimone” del sopravvissuto, quasi come fosse autore esclusivamente del celeberrimo Se questo è un uomo, che per molti aspetti è quasi più un trattato di antropologia (del male) che un’opera letteraria in quanto tale. Alcune degnissime eccezioni sono la felicissima indagine del poeta e saggista Paolo Febbraro (Primo Levi e i Totem della Poesia), recensito da un non meno intenso Matteo Marchesini (qui), che descrive la poesia di Levi in modo folgorante: “una torcia socratica nella notte del male.” Non lontana da queste suggestioni si è segnalata, lo scorso giugno a Bonn, presso la libreria Böttger, una brillante conferenza tenuta dal giovane italianista e ricercatore Marco Menicacci e da Johannes von Vacano, già giovane traduttore del poeta Beppe Sabaste, dedicata appunto all’opera poetica di Primo Levi. Si tratta di un’opera poetica che talvolta è quasi una teologia in versi, davvero il tentativo di una nuova Genesi, dopo che la precedente si è infranta nella Shoah. Menicacci ha giustamente celebrato l’opera poetica di Levi che si situa sempre “ad ora incerta,” ovvero in quell’ora in cui, come afferma il poeta Coleridge da cui è tratta l’espressione, “that agony returns,” torna cioè l’afflizione di ricordarsi come sopravvissuto delle atrocità. È da questo sentimento che sorge una triade di nuovi bisogni antropologici che segnano un doloroso controcanto al “nostos” omerico. Non semplicemente un “ritorno” al pari di Ulisse, bensì un “rincasare” dall’esilio a casa, dove si possa finalmente: “tornare, mangiare, raccontare.” È del resto in questa dimensione immaginaria del “ritorno” che si profila “una valle” misteriosa e sapienziale che fornisce la ripetizione e il rinnovamento della Genesi biblica, come attestano questi versi che giustamente sono stati ricordati come tra i più belli che Levi abbia scritto: “c’è un solo albero vigoroso […] È forse quello di cui parla la Genesi […] Non ha congeneri: feconda se stesso./ Il suo tronco reca vecchie ferite/ da cui stilla una resina/ amara e dolce, portatrice d’oblio.”
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Federico Dal Bo
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