La carne giace nel suo sacello, mentre devoti e palpitanti visitatori le rendono omaggio.
La memoria indugia nel piacevole e salvifico ricordo di un attimo vissuto e passato, tacendo ciò che cova nel buio del tempo presente. Il verme lavora, laido, con pazienza ed efficienza, mentre si stendono fiori recisi, odorosi di effimere fragranze.
Né ora né mai sarà rivelato ciò che resta di te, mia amata. Ma questo letto, in questa notte, mi invita al pensiero nauseabondo del tuo viso sigillato, spento, immoto, eppure in costante trasformazione. Gli umori liquefatti fuoriescono e si distendono, nutrendo l’invisibile, infaticabile, minuscola progenie: la vera, sola compagna per l’eternità.
Così il mistero permane, celato allo sguardo morboso. La pietà, no, il ribrezzo e l’orrore vincono ogni desiderio indagatore. Nessuno deve vedere cosa resta, il pensiero si salva chiudendo cautamente gli occhi.
Eppure… Un giorno decisi di rivederti. Non bastandomi il conforto dell’anima ho chiesto di più, e ti ho rapita.
Ti ho condotta a casa mia per ammirarti ancora. E che io sia dannato in eterno, per aver sfidato l’ineluttabilità del tempo. La regola è chiara: non si torna indietro!
Io lo sapevo, ma il desiderio, più forte del senno, ha cancellato ogni prudenza, consegnandomi alla follia.
E ora ti vedo per come sei, assente ovvio, perché non ci sei. Vedo un involucro, niente di più…
Ma il tuo sguardo su di me, come una finestra aperta sul vuoto, mi morde alla gola. Estraneo e familiare allo stesso tempo, come la morte lo è per la vita.
Provo a richiudere gli occhi, a nascondermi, a sfuggirti, ma ormai sei tornata da me e non te ne andrai più. Avvinghiata ai miei pensieri, incombente nei miei sogni, estranea, temuta, terrificante. Come la morte per la vita.
Lovely Head (Goldfrapp, 2000)
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Carlo Tassi
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