FOGLI ERRANTI
La zucchina
Tempo di lettura: 3 minuti
Questa mattina il sole ha fatto spazio tra le nuvole. È un sole bagnato, che si scrolla dopo un’intera notte di pioggia, lampi e tuoni.
Sulla ghiaia, pozze qua e là. La terra è impregnata, l’aria sfumata di fresco.
Nei capienti, larghi vasi, risaltano i fiori enormi e gialli delle zucchine.
Già… Non ho interrato piante ornamentali nei vasi, ma pomodori, cetrioli, zucchine.
Mio marito ha compiuto un ottimo lavoro mescolando nei contenitori terriccio morbido con stallatico e terra già sfruttata. Ha pure intrecciato le canne, tutori per i futuri ortaggi, usando grazia e maestria. Si vede che è un geometra.
L’afa sembra premere e annichilire le pubescenti foglie dei pomodori, quelle palmate e seghettate dei cetrioli, quelle larghe e urticanti delle zucchine, afflosciandole.
La prima cosa che imparai quando ebbi l’idea di impiantare un orto in pieno campo — tanti anni fa, esperienza conclusa — fu che “la terra è bassa”, come recita un proverbio. Ti costringe cioè a piegarti, di gambe e di schiena, e te le spezza. Perché devi rialzarti e riaccucciarti, continuamente.
E mentre sei lì, a pochi centimetri dalle zolle, ti vengono in mente tutti i pensieri del mondo. E mentre t’insudici i guanti e senti le vertebre schioccare e i tendini friggere, non pensi poi più a nulla. Se non alla fatica di vivere.
E non è raro accorgerti di scricchiolare tra i denti un granello di terriccio, finito in bocca chissà come.
Allora un po’ ti chiedi di chi era, quella consistenza. Se fu sempre polvere di rocce sfarinate o polvere di altri esseri, vegetali o animali, vertebrati o invertebrati, esseri terrestri, acquatici o volanti, morti qui o qui trasportati dalle forze della natura. Scorie accumulate a strati, nel corso degli anni, dei secoli, magari ritornate in superficie con lenti sommovimenti d’impasto. Polvere di pelle, pelo, penne, squame, di carne, di ossa, polvere di escrementi decomposti. Polvere anche delle nostre cellule, dei nostri umori e odori, sparse nel camminare come petali di rose durante una processione.
E capisci allora di toccare la tua origine e la tua fine, di sgranocchiarla proprio, di cibartene. Ti senti un tutt’uno con la mota. Pensi ad una ruota: vita per la vita…
Ho così coltivato pomodori, peperoni, insalate, finocchi, radicchi, zucchine, zucche, meloni, cocomeri, melanzane, fragole e patate. Con dovizia, con amore. Quei frutti di terra che poi in bocca hanno un “sapore” — non so se mi spiego — insieme a quello della ricompensa.
E ho imparato ad accudire le piante — io, un tempo cittadina, con non più di tre gerani in vaso sul balcone, sempre asfittici.
E mi è piaciuto — coltivare — nonostante la fatica. Nonostante le piante crescessero diversamente, a fronte di un impegno uguale e costante verso tutte. Un po’ come per le persone.
E s’impara che non puoi cambiare l’anima di un vegetale né di un essere umano. Se è zucchina, non diventerà mai pomodoro. Puoi solo aiutare, affinché abbia il meglio dalla vita e dia il meglio alla vita, nell’involucro che gli è stato dato, sostenendolo con una cura perseverante, e scuotendo la testa se, dopo tanti sforzi, ripiega le foglie, s’accartoccia, si svilisce, stenta, muore.
La dedizione, il supporto, l’amore.
Per una zucchina come per una persona.
Sarebbe tutto molto semplice, vista così. Come l’aforisma ascoltato oggi per radio: se c’è una soluzione, perché preoccuparsi; se non c’è una soluzione, perché preoccuparsi.
Il problema è convincere qualcuno che, solo per un caso o ad opera di un essere superiore — ma non farebbe differenza — il flusso di vita che doveva sbocciare fu convogliato in lui facendolo nascere essere umano, invece di zucchina.
Che ne tragga le debite conclusioni.
(Carla Sautto Malfatto – tutti i diritti riservati)
In copertina: elaborazione grafica di Carlo Tassi

Sostieni periscopio!
Carla Sautto Malfatto
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
PAESE REALE
di Piermaria Romani