Quando ci si avvicinava al Natale, fuori dai negozi dei salumieri e dei macellai, appese a uno spago e legate di fianco all’ingresso della bottega, le vesciche di maiale, gonfiate, sballonzolavano al vento, servivano ad attirare i clienti, palloncini tondi o bislunghi. Soltanto più tardi, quando seppi che cos’erano e che erano state fino a quel momento nella pancia grassa della povera bestia, cominciai ad averne non proprio schifo ma qualcosa di simile.
La democrazia italiana è una vescica sgonfia, non ballonzola con la prima aria che tira e la gente non vuole più saperne di essere presa in giro dai grossi ventri che circolano nei due rami del Parlamento. Circolano e parlano senza nemmeno sapere la nostra – e purtroppo la loro – lingua: non tutti per carità, ma sono tanti i signori che abbiamo mandato a Roma i quali proprio non conoscono l’italiano, le doppie nella loro bocca prendono strane strade ed escono come va-va.
Le amministrative in Sicilia dovevano essere la prova generale delle elezioni politiche. Ebbene abbiamo avuto una risposta precisa, secca, inequivocabile: nemmeno il 50% degli elettori si è recato alle urne e in una democrazia matura e intelligente un simile risultato non sarebbe preso in considerazione. In effetti le elezioni siciliane non ci sono state, scusate il disturbo, torniamo più avanti. Il candidato, chiunque egli sia, è stato convinto che i vecchi abusati ideali non esistono più, sono ormai dimenticati, non sono nemmeno il fiato che un tempo gonfiava le vesciche di maiale. Questa convinzione, non so se abbiamo capito, è l’unica, vera ideologia politica italiana: la filosofia del disastro. Ci siamo finalmente arrivati. Al disastro, dico, con buona pace dei ducetti che dirigono la nostra vita, i quali non sono nemmeno più buoni da essere appesi davanti alle vetrine delle norcinerie. Vesciche vuote, come quelle che Astolfo vede sulla Luna.
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Gian Pietro Testa
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