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Fuga dal confine orientale è il senso di una tragedia dolorosa che il lunghissimo tempo della guerra fredda ha lasciato nell’ombra e che, a seguito della caduta del muro di Berlino e della dissoluzione della Jugoslavia del dopo Tito, si è pensato bene di ricordare e non solo per la storia ma per la profondità di sentimenti perduti.

Mi è capitato di leggere un piccolo libretto bianco*, offertomi in un incontro amichevole, dove il consegnatario si è spinto nel dire “…se hai tempo di leggerlo”, quasi a sottolineare che di quelle tragedie umane e familiari quasi nessuno si occupa più.
A riguardo, preme fare una carrellata sul contenuto del libro e coglierne i passi più significativi che debbono servire ad ognuno di noi, anche in questi anni difficili di convivenza, dove non sempre i sentimenti si colgono nelle persone.
D’altronde moltissimi ignorano quanto è accaduto ai confini orientali tra il ’43 e il ’45 e oltre (Dalmazia, Istria, Pola, Fiume), nulla si sa dell’esodo dei 350.000 profughi e dei 10.000 gettati nelle foibe realizzando la prima pulizia etnica del dopoguerra, per estinguere qualsiasi segno di italianità su quelle terre.

Ecco allora riportati alcuni brani:
“[…] ma mancano i soldi anche per comprare lo stretto necessario. La gente si lamentava sottovoce e solo con persone fidate perché c’era gran paura in giro. Ogni tanto spariva un amico, un parente o un conoscente senza lasciare nessuna traccia.”

“[…] nella mia famiglia, polenta e patate erano il cibo quotidiano, ma papà cercava sempre di rasserenarci facendo tacere ogni piccola voce discordante. Siamo italiani e dobbiamo rimanere tali, senza rinnegare niente, non dobbiamo lamentarci.”

“[…] era comune il dolore di lasciare gli amici e i luoghi cari della nostra infanzia. Quella notte non si è dormito. Si passava da un letto all’altro chiedendo: “ Tu cosa dici? Che cosa ci accadrà? Dove andremo?”.

“[…] ho subito l’amputazione degli affetti familiari, ho accettato la privazione della libertà, ho sopportato dure discipline ma la mia adolescenza così assoggettata mi ha formato e ne sono stato fiero: oggi mi sento moralmente obbligato a far da testimone di vicende che sono state tenute nascoste.”

“[…] ricordo ancora con un brivido, perché sento ancora nelle orecchie, il fischio dei proiettili sparati mentre raggiungevo il rifugio scavato nella roccia.”

“[…] Ora il mio filo di ricordi mi riporta là: ad ogni soffio di vento sento la bora, le stelle che vedo nel cielo sono le stesse del cielo della mia Fiume e sempre nel cuore li porterò.”

Che dire se non chiedere perdono e richiamare quanto detto recentemente: “… la nuova consapevolezza esige che le vicende dei confini orientali, con la dovuta conoscenza delle foibe, entrino a far parte della nostra formazione pedagogica”, e ancora, “… l’olocausto degli italiani di Istria e Venezia Giulia, uno dei punti più acuti delle tragedie che l’Europa ha conosciuto nel ‘900.”

E sulla pulizia etnica in questi mesi non mancano drammi e tragedie: dai Paesi africani al Medio oriente, dal Sud est asiatico a luoghi quasi sconosciuti, ma la coscienza degli uomini e le organizzazioni internazionali restano ancora nel silenzio.
Ma fino a quando dovremo lottare per la dignità umana? E’ la risposta che tutti siamo chiamati a dare, e non solo per pacificare la nostra coscienza.
La guerra sembra, ancora, un grido inascoltato.

* “Fuga dal confine orientale, memorie di in esilio. Ricordo di una tragedia dolorosa: un popolo, diversi destini” di Alceo e Nidia Ranzato (edizione in proprio)

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Enzo Barboni



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