La tassa sulla casa: in principio era l’Isi, poi fu il delirio
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In principio era l’Isi. E l’Isi si fece carne e diventò Ici. Non passò tanto tempo che si trasformò in Imu.
Il bello è che poi la sfrenata fantasia figlia pure, dando alla luce Tasi, Tari e Trise.
Tutto questo ben di dio per finanziare i Comuni, anche se il presidente dell’Anci, Piero Fassino, ostenta somaticamente l’anemia di cui continuano a soffrire le casse comunali nonostante questo diluvio di scioglilingua.
Curiosa, in effetti, è l’impressione che dopo ogni virata tributaria da un lato si aprono nuovi buchi nei bilanci comunali, mentre si fa più pesante il salasso dai portafogli dei contribuenti.
Per non parlare della Tarsu, cioè la tassa sui rifiuti solidi urbani, in parte sostituita dalla Tares, ossia la tariffa comunale su rifiuti e servizi. L’obiettivo è di far pagare anche quelli cosiddetti indivisibili, come illuminazione pubblica e manutenzione strade.
Ma la Tares ha dovuto lasciare il posto al Trise, alias tributo sui servizi comunali, a sua volta erede di Imu e Tares.
Vi siete persi? Tranquilli anche io, ma andiamo avanti.
Inizialmente chiamata service tax il Trise servirebbe a finanziare sempre i Comuni per i servizi erogati. Solo che nel breve volgere di una notte è stata chiamata Taser e poi Trise, a sua volta articolazione di Tasi e Tari. Quest’ultima è la parte di Trise che copre il costo dei rifiuti, mentre la Tasi (sorvolo sul vernacolo) è la componente servizi indivisibili.
Se uno volesse fare lo spiritoso potrebbe aggiungere la Tesi per chi si sta laureando, o la Quasi per chi sta realizzando un sogno nella vita, la Tisi per gli ammalati e poi la Stasi che starebbe a pennello sulla situazione italiana.
Immaginiamo però che coloro al ministero che devono fare e rifare i conti una decina di volte al giorno abbiano poco da ridere. Senza contare che sarebbe pure comprensibile se a qualcuno venisse voglia di tirare una scarpa al politico di turno, mettiamo Razzi?, che gli venisse in mente di fare un’interrogazione per sapere se c’è copertura nei conti pubblici.
Infine, l’irrequieta politica italiana partorisce il Tuc, che vorrebbe sostituire Trise, destinato a sua volta a divenire Iuc, davvero curiosa sigla di: imposta unica comunale.
In fondo fa tenerezza questo slancio inesausto verso la semplificazione che, come nei sogni, è meta che si allontana ogni volta che si sta per raggiungere.
A dire il vero un timido tentativo di discussione si è affacciato nel breve volgere di una mattinata per stabilire se Tuc fosse femminile o maschile, cioè tassa o tributo unico comunale. Ma qualcuno con la testa sulle spalle deve avere dissuaso i temerari a non sfidare oltre il popolo italiano, in buona parte non seduto comodamente al tavolo da bridge, ma alle prese con l’incubo di arrivare a fine mese e con uno Stato le cui mani entrano ed escono dalle sue tasche che è una meraviglia. Almeno in alcune e con una precisione svizzera.
Nel frattempo, nelle scorse settimane è stata recapitata nelle case la Tares: una tassa comunale, su modulo dell’Agenzia delle entrate, della cui riscossione si cura un’azienda Multiutility.
Come esempio di semplificazione e trasparenza non c’è male.
In ogni caso, come direbbe Nanni Moretti, continuiamo così, facciamoci del male.
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Francesco Lavezzi
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