LA STORIA
Zoa, ovvero come andare controcorrente in Russia
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Sappiamo bene, ormai, come la street art possa essere un potente veicolo di messaggi, grande palcoscenico a cielo aperto che raggiunge un enorme e diversificato pubblico. A volte attento, a volte meno, ma comunque un mondo ‘sui generis’, potente, ‘esposto’, spesso involontariamente, a grida di aiuto o a necessità di veicolare messaggi sociali di vario tipo e intensità. Talora questi messaggi sono anche politici, come il caso di Aleksandra Kachko in Russia, a San Pietroburgo. L’artista, conosciuta come Zoa (vedremo poi perché…), dipinge il suo dissenso contro Putin e per questo è stata più volte arrestata. Artisti di strada come Jef Aerosol, Banksy, Mat Benote, Cartrain, Dan Witz, Tod Hanson, Invader, Michael Kirby, Viso Collo, Ellis Gallagher, Vhils, Os Gemeos, Swoon, Twist, 108 e Sten Lex si sono guadagnati l’attenzione internazionale per il loro lavoro e hanno goduto di una popolarità più benevola. Hanno, per così dire, vita più facile.
Di Zoa (potremo chiamarla anche Sasha, il diminutivo affettuoso, in Russia, usato per le ragazze che si chiamano Alexandra), non si trova molto in rete, almeno non in italiano o in inglese, salvo un’intervista del 2011 che le era fatta dopo l’arresto per aver partecipato ad alcune manifestazioni, diciamo, non troppo pro Putin. Di lei si sa che ha oggi 28 anni, che non è fra gli artisti più noti nel suo campo, ma che merita menzione.
Perché Sasha è una donna coraggiosa, che ha studiato da sola, senza incoraggiamento familiare, con un padre ex saldatore e problemi con l’alcol. Ma pare che lei non voglia parlare di questo, né tanto meno essere oggetto di inutili e sterili vittimismi. Lei è forte e attiva, e cerca di parlare con i colori. Oggi fa l’architetto a San Pietroburgo, non vive, quindi, grazie ai suoi graffiti ma di essi ne fa una bandiera importante di attivista per i diritti civili.
Sasha ha iniziato a manifestare, avvicinandosi alla politica, nel movimento Strategia 31 (fondato dallo scrittore Eduard Limonov, oggi leader del partito Altra Russia), che ogni fine mese si riunisce a Mosca e in altre città della Russia, per protestare contro la violazione dell’articolo 31 della Costituzione, che sancisce il diritto a manifestare pubblicamente, in modo pacifico. Meno pacifica la reazione della polizia, si dice.
A parte alcuni manifesti preparati in quell’occasione, Sasha ha iniziato a fare graffiti politici, nell’ottobre 2010, dopo l’arresto dell’amico Aleksander Pesotskij, incriminato ex art. 282, ossia per l’accusa di ricostituzione del partito bolscevico.
Passeggiando per la già fresca San Pietroburgo, recentemente, ho visto qualche graffito, ma se si comparano Ekaterinburg e Perm (e alla stessa Mosca), dove si fanno festival di street art (ovviamente, non a sfondo politico), qui non si vede molto. A Mosca, invece, forse perché è la capitale, forse perché è più aperta o semplicemente più popolata e frequentata da vari movimenti artistici, si incrociano più muri dipinti. Basti ricordare che qui aveva spopolato colui che era stato definito il Bansky russo, Pavel 183, deceduto giovane ma che aveva, e ha, lasciato forte impronta e ricordo nella città.
Tra i soggetti realizzati da Sasha ce ne sono anche molti di tema femminista, come, ad esempio, un disegno su sfondo rosa di una donna crocifissa, con la scritta “il Patriarcato uccide”, messaggio forte in un Paese, peraltro, molto religioso. Sasha dice che, all’estero, spesso la donna russa è vista come emancipata ma che, nella realtà, solo alcune donne (la minoranza) lo sono, e che molte altre appartengono a una cultura rigidamente patriarcale. Secondo lei, l’Unione sovietica era meno sessista perché era necessario che le donne lavorassero nelle fabbriche e aumentassero la produttività, ma sempre per l’interesse nazionale. Sasha lotta contro quella che viene definita, spesso, una normalità: una donna maltrattata dal marito non è vista come un problema. Non si deve tollerare e perdonare. Alcune sue opere toccano il tema dell’aborto o dell’arresto di femministe.
Finora, l’abbiamo sempre chiamata Sasha, ma in Russia chi la conosce la conosce come Zoa, nome nato per caso: un bel giorno qualcuno ha attaccato un annuncio sui suoi graffiti: «Sono interessata a incontrare un uomo. Zoja» e lei ha deciso di adottarlo come nome. Ha preso quella forma come una sorta di messaggio, di suggerimento, di battesimo.
Zoa ha partecipato anche alla mostra di graffiti sociali, “Matite femministe”, organizzata a Mosca nell’ottobre 2013, nel quadro della biennale d’arte contemporanea.
In alcune dichiarazioni, Zoa ha ricordato di avere effettuato 20-30 opere originali ma che, per la loro natura effimera, l’attenzione ad esse dedicata dalla polizia e dagli incaricati di ripulire le strade, sono rimaste visibili per poco tempo. Alcune hanno vissuto un solo giorno, altre un po’ di più. Ma lei spera di avere comunque passato un messaggio.
Foto da Il Fatto quotidiano [vedi]
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Simonetta Sandri
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