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La stazione, si sa, è un crocevia: arrivi e partenze, che siano di piacere o lavoro. Così, a metà luglio, è iniziato anche lo stage di Milica Vlajin, giovanissima studentessa di lingue serba, arrivata a Ferrara per otto settimane di volontariato a Ibo, associazione che opera per promuovere fra i giovani il senso di responsabilità verso gli altri e la consapevolezza di ciò che è bene comune. Ciò è stato possibile grazie alla rinnovata collaborazione tra Ibo ed Aiesec che, per il secondo anno consecutivo, ha portato nella città emiliana una ventata di internazionalità. I ragazzi del comitato locale di Aiesec, l’associazione di studenti più grande del mondo, hanno aiutato la stagista a muovere i primi passi (e le prime biciclettate) tra la sua nuova casa e il centro, dove, in via Montebello, ha sede Ibo.
La ragazza ha lavorato in ufficio, nel periodo precedente il  Buskers festival. E poi si è prodigata con i volontari impegnati durante la manifestazione nell’accoglienza del pubblico. Milica ha sorpreso tutti con un’ottima padronanza dell’italiano, tanto da impiegarlo con sapienza non solo nella stesura dei comunicati stampa e dei volantini che sponsorizzavano le attività del Grande Cappello, ma perfino per fare ironia e scherzare. E non solo. C’è stato per lei anche modo di esprimere pensieri, impressioni e riflessioni su questa avventura appena terminata.

“È necessario allinearsi ed entrare in sintonia con il posto in cui ci si trova, abituarsi e, nel caso, anche adattarsi”, afferma a consuntivo della sua ‘prima volta’ lontana da casa per un lungo periodo: Come l’hai affrontata?, domandiamo. E’ nata un’altra Milica?
Forse. Credo che quando si parte per l’estero è come se si avesse l’opportunità di modellare sulla propria persona un’identità completamente diversa; certo, a ventun anni si è persone già abbastanza formate, però ho notato che ci sono aspetti della mia personalità che hanno rilevanza diversa a seconda di dove sono. Per esempio, a Belgrado conoscono lati di me che a Ferrara non c’è stato modo di ritrovare, e viceversa: gli altri non pensano che io possa essere anche diversa da come mi vedono. Inserendosi in un dato contesto, tra persone che hanno abitudini diverse, il proprio io cambia prendendo consuetudini che non gli appartengono, forse migliorando.
Ecco, dunque: come ti sei trovata immersa in un ambiente per te completamente nuovo?
Non parlo perfettamente l’italiano, però ero talmente presa da questa nuova esperienza da cominciare a dimenticare alcune parole in serbo già dopo una quindicina di giorni. Gli effetti di un nuovo contesto sono potenti: ti abitui rapidamente al fatto che i dialoghi quotidiani sono in una lingua diversa da quella che ti è familiare. Il risultato è che ora, dopo quasi due mesi, devo addirittura concentrarmi per trovare le parole serbe più ovvie. Pertanto, ammiro e mi complimento con chi riesce a combinare due o più culture o lingue, senza perdere parti di una o dell’altra. Dimenticare è quasi più facile che imparare.
C’è qualcosa che vorresti cambiare di queste otto settimane?
Mi dispiace di non aver sentito la mia famiglia e i miei amici tanto quanto avevo inizialmente immaginato; Skype, Whatsapp, Facebook… pensavo che li avrei aggiornati costantemente. Non ero, però, una turista: quando sei in vacanza non vedi l’ora di condividere tutte le novità che vedi, che siano persone, luoghi o cose particolari. Invece, quando vivi stabilmente in un posto, già dopo due o tre settimane la tua vita è là, non hai niente di nuovo da raccontare. Le abitudini si sono radicate pur in un tempo così breve: e ciò che fai normalmente (lavoro, amici, uscite), non è niente di eclatante, specie per chi non è presente fisicamente con te e non è parte di questa “altra vita” e quindi risulta difficile da raccontare, perché appare banale. Ovviamente nessuno mi vorrà rinfacciare questa scarsa comunicazione, però a me dispiace. Questo nuovo ritmo di vita mi ha completamente preso e coinvolto, mi ci sono totalmente dedicata, avevo degli obblighi nei confronti del mio nuovo ambiente, e meno verso il mio a Belgrado, così questo è passato in secondo piano, ma solo per forze di causa maggiore. È naturale che ci lasciamo prendere da ciò che ci circonda, è così che si impara anche una lingua.
C’è qualcosa che, se potessi, vorresti portare a casa a Belgrado?
Hmmm… Tutta Ferrara! Scherzi a parte, vorrei ovviamente portare a Belgrado i miei nuovi amici, ma anche lo spirito di Ferrara, che mi mancherà molto: è uno spirito che in una grande città non si sente. Le iniziative sociali e culturali, il volontariato sono presenti a Belgrado, ma il loro riscontro ha un peso e un impatto minori, poiché le persone sono meno collegate tra di loro. Inoltre, mi piacerebbe poter ‘esportare’ anche questo stile di vita più lento e rilassato. A Belgrado si tiene meno conto delle piccolezze, dei dettagli, si è sempre di fretta: in Italia, in generale, mi sembra che si abbia un livello di qualità della vita più alto, a partire dall’alimentazione. Gli italiani non mangiano per il mero fatto di nutrirsi, gustano il cibo e lo apprezzano, quando noi dedichiamo poca attenzione e tempo ai pasti. Poi, naturalmente, porterei con me la mia bici, a cui mi ero affezionata, e lo spritz, o almeno la consuetudine dell’aperitivo in generale. Al momento, però, posso solo portare con me dei ricordi meravigliosi e la soddisfazione di aver scelto di trascorrere la mia estate in questa affascinante città estense.

Sfortunatamente, a differenza nostra, il tempo non si perde, e arriva purtroppo l’ora dei saluti e della partenza: di nuovo in stazione, con la promessa di Milica di un ritorno a Ferrara, magari l’estate prossima.

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Ajla Vasiljevic



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