“Puoi arrivare da qualsiasi parte, nello spazio e nel tempo, dovunque tu desideri.” Il gabbiano Jonathan Livingston, Richard Bach
Ero arrivata in Norvegia in un ancor freddo mese di giugno. La luce non diminuiva mai, i raggi del sole scaldavano ogni ora del giorno e della notte. Difficile dormire. Non restava, dunque, che aggirarsi, quatti quatti, per la cittadina assonnata ma sveglia, per osservare il paesaggio, la natura, le casette degne di una fiaba. Silenziosi come gatti.
Ecco, allora, apparirmi un tetto, due camini possenti, un’antenna televisiva, mura di legno colorate di rosso arancio intenso, folti alberi intorno. Dalle finestre si vede sicuramente il mare. Da dietro le tendine si percepisce il rumore delle onde, si sente il garrito dei gabbiani reali, si vedono le loro ali imponenti volteggiare nell’aria. All’orizzonte s’intravvedono le nubi, alba e crepuscolo non si differenziano, anzi si confondono e si baciano.
Una musica dolce, a basso volume, aleggia nell’aria intirizzita. Inge e Erik danzano, sfiorandosi appena. Su quelle note si sussurrano dolci pensieri, delicate parole e sogni di una giovinezza perduta. Sono sposati da trent’anni, uniti, come due rose colorate teneramente abbracciate, inseparabili, legate, incollate, intrecciate, sempre insieme, vicine vicine. Come due amici gentili affiatati, inseparabili dai giorni dei primi banchi di scuola. Si amano da sempre, senza condizioni, senza dubbi, senza esitazioni, senza paura, senza remore, senza tregua, senza fine.
Non hanno mai lasciato quel paesino avvolto nel fiordo, o forse sì, sono andati solo un paio di giorni, qualche anno fa, nella vicina Russia, attraversando un confine labile, e solo per la curiosità di sapere cosa c’era dall’altra parte. Sempre insieme, solo loro, Inge e Erik, Erik e Inge. Senza figli, perché mai arrivati, nonostante i numerosi tentativi.
Per anni hanno vissuto di una copiosa pesca, delle notti passate a cercare di sopravvivere di merluzzi, halibut e salmoni. Erik partiva, Inge attendeva. La fioca e romantica candela era sempre presente, accesa sulla finestra, perché la luce guidasse il loro amore unico e indistruttibile, perché la speranza di giorni migliori illuminasse le loro anime comunque serene, candide e felici. Una coppia come poche.
Hanno sempre contato solo su sé stessi, pochi amici, pochi svaghi, poche frivolezze. Solo lavoro, casa, fatica, impegno, dedizione, serietà. E poi giardino, alberi, orto. Sentivo quella musica, vedevo quella danza, toccavo quegli abbracci, sfioravo quei pensieri, percepivo quell’energia, attraversavo quel vortice di amore. Felice.
L’amore abitava in quella casa, lo sentivo, lo vedevo, lo immaginavo, lo sapevo. Ne ero avvolta, inebriata, confusa, stordita. Bastava, e basta, davvero poco, nella vita.
C’è casa quando c’è amore. La casa può essere anche solo fatta delle braccia della persona amata che ti accoglie. C’è casa ovunque tu lo voglia… basta saperla riconoscere. E, passeggiando per quelle stradine, con il vento fra i capelli, l’avevo riconosciuta. Improvvisamente, in un attimo fuggente che sarebbe diventato per sempre.
Fotografie di Simonetta Sandri: Kirkenes, Norvegia e Mosca, Orto botanico
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Simonetta Sandri
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