da MOSCA – Un muro che acquista improvvisamente un nuovo look, una parete che rinasce e si risveglia, lasciando da parte le ombre che l’hanno occupata, uno spazio che rivive. Arrampicato su una scala lunga e un pochino instabile, scalpello in mano, berrettino triangolare rigorosamente fatto a mano, un muratore gratta i vecchi mattoni uno a uno, riporta alla luce gli antichi colori, ridà luce a immagini spente e ormai sbiadite. La storia fa capolino, chiede di presentarsi e di non scomparire, di rimanere, magari con un altro vestito, ma di non essere dimenticata, di poter servire ancora a qualcosa e a qualcuno. Non vuole l’oblio, vuole esserci, ancora oggi. Presente e viva.
Piano piano quel muro acquista l’aspetto lindo e inconfondibile delle aree industriali rimesse a nuovo, vecchie ciminiere imperiose, un tempo fumanti, e design ultramoderno, formula vincente dei distretti creativi di New York, Helsinki, Londra o Berlino ma anche di Mosca. Qui le zone industriali occupano un quinto della città, un immenso patrimonio che si presenta agli occhi del turista e dell’abitante curioso man mano che il comune trasferisce la produzione fuori dal centro. Ma l’era post industriale qui è giovane, le aree dismesse di cui il mondo della cultura si impadronisce per dare sfogo alla creatività sono realtà recenti. «Nascono in luoghi che ormai erano non-luoghi, spazi fuori dal tempo – dice Serghey Nikitin, professore universitario di Architettura e storia di Mosca – fabbriche sprofondate in una città per cui non avevano più alcuna importanza, relitti di un’altra epoca». E, allora, in questi luoghi, rinati, fioriscono centri culturali, bar, pub, scuole di fotografia e di design, scuole di danza, musei, ritrovi vari.
Vecchi garage e vecchie fabbriche vengono occupate dall’estro e dalla fantasia. Brulicano di artisti, giovani fotografi e designer. Tutto bolle, tutto ferve. Le menti sfavillano. I luoghi rivivono, di una nuova e splendida vita, ripensata, ricolorata, rifatta, rinnovata.
Così, ad esempio, al Centro d’arte contemporanea Winzavod, s’incontrano e concentrano molte menti creative moscovite. Dopo un lungo isolamento, gli artisti russi si sono messi di nuovo a confronto con i colleghi europei, mostrando, ancora una volta, di non essere da meno. Winzavod è un’ex-fabbrica prima di birra (la Moskovskaya Bavaria) e poi di vino, trasformata, dal 2007, in uno spazio espositivo di più di 20.000 metri quadri, con varie gallerie permanenti e temporanee, librerie, scuole e caffetterie. Un vero e proprio quartiere, dove chi vuole isolarsi dalla confusione della città, si può rifugiare, uno spazio che ha conservato le vecchie strutture in mattone arancione e le tubature a vista, come a voler ricordare che quella è ancora una fabbrica, non più di bevande ma di arte. Io mi ci ritrovo.
Oppure basta andare nella zona della ex fabbrica di cioccolato Einem, aperta nel 1867 dai tedeschi Theodor Ferdinand von Einem e Julius Heuss, nazionalizzata nel 1918 e, nel 1992, ribattezzata Ottobre Rosso, dove si trova molta della vita culturale moscovita attuale. Nel 2007, lo stabilimento fu spostato a nord della città e la centralissima area fu riconvertita, secondo le esigenze più moderne di una capitale in rapida e vorticosa trasformazione. Dal 2010, Ottobre Rosso – il cui nome ben si addice se si osservano i bellissimi bricchi color rosso acceso – non ha più niente a che fare con il cioccolato, se non per il nome che è rimasto sulle classiche tavolette che si acquistano come souvenir. Mi viene in mente il bambino Charlie Bucket dell’omonimo film con Johnny Deep, pur non avendo nulla a che fare, lo so, ma questo posto fa pensare a una favola buona, dal finale dolce e zuccherino, ignoro il perché. Pura e semplice fantasia libera e liberata … Oggi l’area, che si trova di fronte all’imponente monumento di Pietro il Grande che svetta su una altrettanto imponente nave, ospita centri di fotografia dal forte e penetrante odore di pellicola, gallerie moderne e alternative, con esposizioni temporanee, il Museo di fotografia Lumiere, il suo fornito bookshop.
Si parla, a proposito, di archeologia industriale, anche in Italia molte vecchie fabbriche riprendono vita. Nuova vita ai vecchi edifici, allora. Importante per storia e memoria. E se, come diceva Jean Rostand, “un uomo non è vecchio finché è alla ricerca di qualcosa”, cerchiamo il nuovo in quel vecchio, sempre, un vero riciclaggio del passato. Per restare sempre ed eternamente giovani, noi e le vicende di quei luoghi lontani.
Fotografie di Simonetta Sandri
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Simonetta Sandri
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