LA STORIA
Preti e seminaristi irrompono in scena e interrompono la comicità di “Don iPhone”, spettacolo sulla “religione” delle nuove tecnologie
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Ridere per non piangere. Il fatto è di una decina di giorni fa: ad Albano Laziale, il “Mercante di Monologhi” spettacolo comico dell’attore Matthias Martelli, portato in scena con il musicista Matteo Castellan nell’ambito del festival open air “Bajocco”, è stato interrotto da un gruppo di preti e seminaristi durante il monologo “Don iPhone” con cui l’attore fa il verso alla deificazione delle nuove tecnologie e all’abuso che quasi tutti ne facciamo. Don iPhone non comporta nulla di offensivo per il cattolicesimo, rappresenta piuttosto un modo per ridersi addosso, per richiamare l’attenzione su un fenomeno che ci ha preso la mano, costringendo il nostro tempo tra un viaggio virtuale sui social network, foto Istragram e una “tweettatata”. In sostanza un allontamento dalla realtà, dalla vita, dalle persone, nulla a che vedere con la religione semmai la denuncia di una nascita, una fede ripulita da dogmi e rimpolpata dalle fredde certezze di piccoli e grandi computer agganciati alla rete. Una bella pennellata di modernità e contraddizioni del Terzo Millennio che si sommano in “Don iPhone”, vincitore del Premio Nazionale di Comicità “Locomix”. Ma del premio a preti e seminaristi non è importato gran che, quando hanno visto l’attore con la tonaca hanno perso la testa, la finta messa celebrata in nome del tablet, con la benedizione di Steve Jobs e nel segno di Apple, li ha mandati in confusione. A testa bassa hanno fatto irruzione in scena intimando agli attori di interrompere il monologo, è mancata solo la dicitura “Nel nome del papa re”.
Il giorno dopo la direzione artistica del festival ha comunicato ai due attori che il vescovo di Albano aveva chiesto al sindaco di impedire la replica dello spettacolo nella medesima piazza su cui affaccia la chiesa di San Pietro, “violata” da parole blasfeme da riservare invece al retro dell’edificio religioso, un po’ come si fa con la polvere da nascondere sotto al tappeto. Non è tutto: due giorni di dopo, il primo cittadino ha specificato di non saper nulla della vicenda, solo più tardi si è scoperto dall’organizzazione, che a sollecitare l’uso del “lato b” per la rappresentazione sono stati due consiglieri di maggioranza. Secondo il sindaco i due hanno agito in autonomia e, aggiungiamo noi, probabilmente ispirati da un Dio in difficoltà in un paese democratico e laico. Ma si tratta di un Dio caro solo a una parte di cattolici, ha il volto adirato, manca di senso dell’umorismo e punta il dito contro i “Kattivissimi”, due artisti e il loro pubblico, che ne ha difeso il diritto di esibirsi. E, neanche a farlo apposta, ha ripreso con l’iPhone il brutto episodio di censura sul quale la Fnas (Federazione nazionale arti di strada) ha a sua volta puntato il suo laico indice. “E’ una grave ingerenza nella nostra attività di artisti – dice l’associazione – è una violenza contro la libertà di pensiero, oltre tutto immotivata visto l’obiettivo critico del testo incentrato sull’ossessione contemporanea per nuove tecnologie, nulla a che fare con la religione”. Che dire? Il fatto merita una riflessione che non conosce tempo, soprattutto quando la censura porta la tonaca e vede il diavolo nella satira. Con buona pace di papa Francesco, impegnato ad abbattere steccati e ad aprire porte per dialogare con le diversità del mondo. Ma l’oscurantismo è un demone antico, difficile da domare, furbo al punto da indurre in tentazione menti poco illuminate e orecchie sorde, prigioniere di voci monotonali.
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Monica Forti
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