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LA STORIA
Pittrice ti voglio parlare…

Parco di Kolomenskoe, un po’ fuori Mosca, non tanto a dire il vero, il tempo di arrivarci in circa quindici-venti minuti di metropolitana. Incredibile come qui, a poche stazioni, ci si trovi velocemente e improvvisamente immersi nel verde e nella natura.

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Chiesa della Madonna di Kazan

Sotto il sole caldo, qui gli edifici bianchi sembrano ancora più bianchi e svettano nel verde accecante del soffice e delicato prato del parco che si estende lungo la Moscova per circa 390 ettari. Residenza estiva degli zar nel sedicesimo secolo, questo posto è incantevole. Alcuni tetti sono verdi, altri turchesi, tutti degni di un’antica fiaba russa. La loro forma è oblunga o a cupola, a seconda che ci si presentino davanti agli occhi la Chiesa dell’Ascensione, le porte di pietra o la Chiesa della Madonna di Kazan. S’innalzano verso il cielo, imponenti, seri, sicuri, maestosi, severi e altezzosi.
Ci ritroviamo, sorpresi e ammirati, in un mondo a sé stante, azzurro, solitario, quasi indipendente, lontano da ogni preoccupazione e rumore (solo qualche cinguettio e miagolio), secondo alcune leggende, scenario dello scontro fra San Giorgio e il drago.
Da lontano scorgo una signora anziana, con il capo coperto da un vecchio cappellino ricamato all’uncinetto, seduta, quasi accucciata, su un seggiolino di legno che sembra quello di un bambino o di un regista di piccola statura. Proprio per questo suo essere piccolina e per la posizione assunta m’intenerisce molto. Di fronte all’imponente Chiesa ortodossa si sta immaginando quell’immenso e potente drago e forse lo disegna. Ha con sé pennelli, barattolini, vasetti, un cavalletto di legno, qualche tavolozza, una tela e tanti colori, tanti quanti quelli delle ali di quel drago. E’ stata una pittrice, da giovane, di quelle che dipingevano a Montmartre, a Piazza Navona, lungo la Stari Arbat. Ritratti, paesaggi, gatti, cani, coppie di sposi e tanti giardini e fiori. Tutto nasceva dalle sue mani, miracolosamente, come un bocciolo fiorito. Non le importava, allora, cosa disegnava, bastava guadagnare per poter vivere di arte. Per convincere i genitori, prima, e gli amici, poi, che con la bellezza si riusciva a sopravvivere.
Dopo tanti anni era riuscita a diventare una pittrice abbastanza nota, grazie anche all’aiuto di un’amica gallerista di San Pietroburgo, città d’arte e di cultura. La sua avvenenza giovanile l’aveva sicuramente facilitata ma lei, Olga, era anche molto risoluta e sicura della strada scelta. Allora era forte, fisicamente e moralmente, e per quanto piccolina di statura aveva solcato mari e monti, guidata e accompagnata solo dal suo grande sogno. Che un giorno era divenuto realtà. Per un breve periodo aveva anche vissuto in Umbria, in un piccolo villaggio medievale che le aveva regalato nuove amicizie, passioni e, ammetteva, anche un bel carnet di ricette di cucina, diventate ispirazioni di piatti finiti anch’essi sulle sue tele. Olga aveva disegnato, dipinto, ricamato, pregato, scritto, letto, sognato, amato e quasi mai odiato. Non era capace di odio, proprio no. Questo sentimento non faceva e non fa parte del suo Dna. Anche quando era stata trattata male, magari umiliata e rifiutata, aveva sempre accettato quello che la vita le portava. Sempre, e tenacemente, convinta di poter inseguire il sole come “il piccolo e anticonformista Gabbiano Jonathan, che riesce a intravedere una nuova via da poter seguire, una via che allontana dalla banalità e dal vuoto del suo precedente stile di vita, e comprende che oltre che del cibo un gabbiano vive della luce e del calore del sole, vive del soffio del vento, delle onde spumeggianti del mare e della freschezza dell’aria”.
Negli anni aveva iniziato a dipingere nuovi soggetti, era passata a immagini religiose, altari, chiese, cupole. Forse la dimensione mistica aveva guadagnato terreno con la vecchiaia, con la voglia di pace e tranquillità. Oggi Olga è in pensione, se così la si può chiamare, vista la sua misera entità, e ancora dipinge, un po’ per quell’antico piacere della bellezza, un po’ per vendere a qualche turista attirato dalla sua ancora intensa vivacità.

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Parco di Kolomenskoe, aiuola di fiori

Ogni domenica prende allora i sui colori e le sue tele e cambia parco o giardino, in cerca d’ispirazione. Oggi la vediamo qui, a Kolomenskoe, domani la potremo trovare altrove. Le sue gracili spalle ricurve inteneriscono, per il peso che portano, per quanto hanno sopportato. Perché Olga, in tutto questo, aveva dovuto lasciare il suo bambino in un orfanotrofio, la bellezza non era stata sufficiente, da sola, per tutto. Quel bambino che, nascosto dietro un ramo o un tronco disegnato, compare sempre nei suoi dipinti. Guardando bene, da vicino, lo vedrete anche voi.

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.


PAESE REALE
di Piermaria Romani

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)