LA STORIA
‘Ndrangheta, il coraggio e la solitudine del ribelle
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Colpito dalla ‘Ndrangheta perché si è ribellato al nodo scorsoio del pizzo. E poi, colpito di nuovo dallo Stato, quando, isolato e oppresso da debiti scaturiti anche a seguito della sua ribellione, gli è stata pignorata la casa. La storia amara del commerciante che ha pagato due volte il prezzo del coraggio è raccontata nel volume scritto da Daniela Pellicanò: si intitola “Colpito” e, quando si ascoltano le sue parole, si comprende che Tiberio Bentivoglio, negoziante dalla schiena dritta di Reggio Calabria, colpito lo è stato nell’anima. Ma i colpi, nonostante tutto, non lo hanno cambiato.
Il primo affondo è della ‘ndrangheta, dopo che ha deciso di non pagare il pizzo per la sua nuova attività inaugurata il 25 aprile 1992: un negozio di articoli sanitari e puericoltura. Da allora si sono susseguite “le punizioni”, come le chiama lui, perché quei criminali “si arrabbiano quando c’è qualcuno che non si comporta come gli altri e va dai Carabinieri”: atti intimidatori, incendi, telefonate minatorie, in tutto sono più di 40 le denunce che ha sporto in questi anni e sette gli attentati che ha subito, contro il negozio, il magazzino e uno anche contro la sua persona. La mattina del 9 febbraio 2011, si stava recando al suo piccolo frutteto. Quando è uscito dal furgone ha sentito “gli spari e un incredibile dolore a una gamba”, poi solo paura: ferito a una gamba, si è salvato solamente perché il proiettile che lo ha colpito alle spalle è stato fermato dal suo marsupio. Da allora vive sotto scorta, innalzata al terzo livello: persona “ad alto rischio”. Ma anche “regali, per distruggere psicologicamente il loro nemico”, come quel panettone trovato legato allo specchietto dell’auto il giorno di Natale, dentro c’era scritto “Auguri sbirro”: “preferisco essere chiamato sbirro che mafioso”, scandisce chiaro Bentivoglio.
All’incontro organizzato a “La Casona” di Cassana, parla a testa alta, con la dignità di chi sa in fondo al suo cuore e alla sua coscienza di aver fatto la cosa giusta, il suo tono è solenne nonostante tutto. Nonostante “la rabbia” e “le lacrime” che ha ingoiato in questi anni.
Sì, perché chi fa questa “scelta di vita”, come la definisce Bentivoglio, i colpi della ‘ndrangheta se li può anche aspettare, anzi. Quella che non ci si aspetta e non si comprende mai a pieno finché non la si prova sulla propria pelle è la solitudine, la ‘terra bruciata’ che all’improvviso si fa intorno. Ecco gli altri colpi subiti in questi anni da Tiberio Bentivoglio: l’indifferenza, quando non il disprezzo, di una società che evidentemente non può ancora dirsi poi così civile, e l’inerzia e i ritardi della macchina burocratica statale.
Gli amici lo hanno abbandonato, i clienti sono diventati sempre più rari: “nel quartiere dove abito non mi saluta più nessuno, tranne due persone, una carissima amica di mia moglie e la moglie di un poliziotto”. Non solo, quando passa con l’auto di servizio della polizia, “tanti fanno finta di tossire pur di sputare per terra”. Ci ha messo otto mesi per trovare un avvocato, non è facile trovarne uno che ti difenda “quando decidi di denunciare in capobastone”, alla fine un poliziotto gli ha dato un nome: “è stata una donna, una mamma con quattro figli, a dirmi finalmente sì”. “Ti arrabbi” perché “c’è un pezzo d’Italia che non funziona” se “le etichette degli estintori del tribunale di Reggio hanno il nome di una ditta inquisita o se il cemento per il nuovo museo viene trasportato con camion di un’impresa che fa capo a un condannato”.
Infine è arrivato il tracollo economico. Nel 1992 aveva sette dipendenti, ora sono rimasti solo lui e sua moglie Vincenza e anche così fanno fatica a pagare i conti: “prima facevo almeno novanta scontrini al giorno, ora devo ringraziare il cielo se arriviamo a cinque”. Come se ciò non bastasse, Tiberio non è più riuscito a pagare i contributi ai suoi collaboratori perché i risarcimenti, che pure gli spettavano come ‘vittima di mafia’, arrivavano tardi e non erano sufficienti. Si è autodenunciato e per tutta risposta “Equitalia mi ha ipotecato la casa”.
Poi nel 2005 arrivano Libera di don Ciotti e il suo referente regionale Mimmo Nasone e la speranza, che Tiberio aveva trovato solo negli occhi dei suoi figli e nel coraggio di sua moglie Vincenza, si trasforma in condivisione di un impegno per la legalità. Il 22 aprile 2010 nasce “Reggio Libera Reggio”, un’associazione per il consumo critico che raggruppa 51 realtà commerciali: “per sensibilizzare le persone a fare i propri acquisti nei negozi che ci hanno messo la faccia contro il pizzo”. Ma anche questa iniziativa non ha vita facile perché “a Reggio il 60% dei negozi o sono affiliati oppure sono attività lavatrice” per i soldi sporchi della criminalità, “in più è arrivata la crisi”.
Tiberio Bentivoglio però non demorde, a ogni colpo si rialza, va avanti nonostante tutto perché “non ho ancora avuto la giustizia che merito”. Il suo monito, la sua preghiera, è di non lasciare solo chi denuncia, chi infrange l’omertà, ma anzi di “aggrapparci” a queste persone, non voltare la testa dall’altra parte, ma sentirci corresponsabili.
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Federica Pezzoli
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