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SEGUE – Fu la fine della Dc (18 febbraio 1994) ad imprimere una nuova accelerazione al modello di presenza della Chiesa nel paese. Finisce l’epoca dello strumento politico per antonomasia dell’unità dei cattolici e che ha tramutato da diffidenza in accettazione l’atteggiamento della Chiesa verso la democrazia. Troppo a lungo si è creduto che quel tempo straordinario fosse l’ordinario e così si aprono orizzonti nuovi e sconosciuti, di fronte ai quali la Chiesa italiana si trova impreparata. La tendenziale trasformazione in senso bipolare del contesto politico nazionale scoperchia definitivamente il principio dell’unità politica dei cattolici, ormai ridotto a una formula vuota. Qui la strategia di Ruini prende contorni sempre più definiti. La scelta della Cei si fa duplice: distanza formale dai nuovi soggetti politici e parallelo accentramento delle dinamiche e decisioni in seno alla Chiesa, per togliere terreno alle divisioni ad intra. Un riposizionamento ecclesiale espresso chiaramente nel discorso di Giovanni Paolo II al convegno di PalermoIl Vangelo della carità per una nuova società in Italia” (1995): “La Chiesa non deve e non intende coinvolgersi con alcuna scelta di schieramento politico”. Il tema dell’unità si sposta sul piano dei principi morali e su quello culturale. Prende corpo in questo clima il “Progetto culturale” di Ruini, con lo scopo di far riprendere alla Chiesa il peso e il ruolo che le spettano e voltando definitivamente pagina con la scelta religiosa e le sue seguenti interpretazioni. Non potendo più contare sul laicato, ormai declinato sempre più al plurale, la Cei diventa interlocutore diretto della vita italiana e lo stesso Ruini lo è in prima persona. Se non vi è sul piano dell’analisi del Progetto culturale un rifiuto a priori del mondo contemporaneo, la critica è però decisa nel mettere in guardia sulle conseguenze della razionalità tecnico-scientifica, che rischia di mettere in crisi le radici antropologiche dell’uomo, su cui la Chiesa riafferma il proprio ruolo di essere portatrice di un messaggio di verità. Le critiche maggiori mosse a questo disegno sono di una Chiesa che cerca il rilancio di una egemonia sulla società come surrogato al buco lasciato dall’unità politica dei cattolici. D’ora in poi parola chiave di questa strategia è “missione” e “Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia” è il nuovo piano pastorale del primo decennio del 2000. Durante il periodo ruiniano l’ossessione è rappresentata dalla sproporzione fra la vitalità delle iniziative del cattolicesimo e la capacità di incidere nella società italiana. Volgarmente: di passare all’incasso. Una nuova unità del mondo cattolico è ricercata non tanto sul piano confessionale, quanto culturalmente sulle nuove sfide antropologiche. Su questo asse si cercano interlocuzioni esterne con le componenti moderate della società italiana, in una visione del cattolicesimo stile religione civile e come modello identitario nazionale. Si potrebbe dire che sta prendendo forma il modello interpretativo che diverrà dirimente in modo definitivo con la formulazione dei valori non negoziabili. Criterio in base al quale stabilire il dentro e fuori dalla Chiesa e perciò dalla verità. In questa prospettiva è letto l’impegno diretto nella campagna referendaria del 2005 (per l’abolizione della legge sulla fecondazione assistita) e nel Family day del 2007. Esattamente come il progressivo mutamento dell’atteggiamento di equidistanza dall’assetto bipolare italiano, che vira decisamente verso un avvicinamento allo schieramento del centro-destra, anche se al suo interno tutt’altro che immune da spinte secolarizzanti e sia pure al prezzo di reciproche strumentalizzazioni.

Si giunge così al convegno di Verona (2006) “Testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo”, quando sulla cattedra di Pietro è salito Benedetto XVI. Si chiude l’era Ruini e si inaugura quella dell’arcivescovo di Genova, Angelo Bagnasco, arrivato alla guida della Cei col singolare mandato dal segretario di stato, card. Tarcisio Bertone, di riservare alla Santa sede i rapporti Stato-Chiesa. Gli anni successivi vedono il progressivo tramonto di Berlusconi sulla scena politica e l’ufficiale presa di distanza di Bagnasco dai “comportamenti licenziosi e le relazioni improprie che ammorbano l’aria”. Anche se tutto ha dovuto passare attraverso gli imbarazzi della contestualizzazione della bestemmia e l’epurazione di Dino Boffo, direttore dell’Avvenire (il giornale della Cei), reo di prese di posizione contro il Cavaliere, dopo una spietata campagna mediatica inaugurata da Vittorio Feltri su Il Giornale (28 agosto 2009). Il nuovo decennio del 2000 segna per i vescovi italiani un ritorno alla formazione e un rilancio della catechesi, con i nuovi orientamenti pastorali “Educare alla vita buona del Vangelo”, mentre “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo” è il titolo scelto per il convegno ecclesiale a Firenze. Tema scelto da papa Ratzinger, ma evento che si svolgerà con il nuovo pontefice Bergoglio. A questo punto sono molto puntuali le questioni sollevate da Brunelli alla vigilia del quinto appuntamento per la Chiesa italiana. Prima questione: la crisi di legittimazione della democrazia. Firenze si svolge in un tempo nel quale sono venuti meno tutti i punti di riferimento della Chiesa e forse non ha più senso neppure parlare di questione cattolica. Anzi, per tanti versi l’arcipelago cattolico rischia addirittura l’insignificanza. Però sullo sfondo c’è l’eterna incompiuta di un quadro politico istituzionale fragile, che quasi affoga in una perenne ed asfissiante provvisorietà e che confonde continuamente l’emergenza con l’ordinario. Crisi della democrazia vuol dire tante cose: crisi di legittimazione, somma tra crisi economica e sociale, crisi del modello istituzionale (parlamentare, presidenziale, gli enti locali), del rapporto Stato-società, pubblico-privato, dello sviluppo demografico con annesso il grande problema dell’immigrazione. Qui Brunelli fa spazio alla necessità di andare oltre la malattia infantile del binomio progressismo-integrismo, per riscoprire una nuova alterità ecclesiale che riparta dalle coscienze dei singoli. Un po’ quello che dice papa Francesco, quando sposta l’asse dalle formulazioni dottrinali, dai principi e dalle strutture, alla necessità di incontrare le persone. Seconda questione: la secolarizzazione. Si è passati, nelle analisi sociologiche, dall’eclissi del sacro a quella della secolarizzazione. Nel senso che c’è, ovunque, una ripresa della religione contrariamente a tante previsioni che l’hanno data per spacciata dall’incalzare progressivo della razionalità scientifica. Però pare una ripresa più alla Padre Pio e Radio Maria, che del sentimento ecclesiale. In tanti credono in Dio ma non nella Chiesa, spesso percepita come la casta del versante religioso.E qui Brunelli vede un problema di nuova evangelizzazione. Come direbbe San Pietro, di dare ragione della speranza cristiana. Terza questione: il moderno, anzi il post-moderno, sta portando cambiamenti culturali che da sola la griglia dei valori non negoziabili non riesce ad arginare. La società liquida di Bauman comprime il passato (si sente la necessità delle giornate della memoria), cancella il futuro (come dice il Nietzsche della Gaia Scienza) e dilata a dismisura il presente. Così diventa il mondo del tutto e subito, dell’emozione, dell’attimo, dei sentimenti alla Grande Fratello, di una socialità che evapora in una simultanea ma virtuale comunità da social network e smartphone. Nel quale persino il discorso politico si riduce a poco più di un cinguettio. Se non c’è più differenza fra libertà e responsabilità, fra tempo e tempo, se legittimo diventa tutto ciò che è possibile, allora io sono sempre e comunque il mio esperimento. “Ecco – continua il direttore de Il Regno – la cifra dell’umanesimo attuale, o meglio la sua torsione nichilista. Un sistema della libertà senza l’ermeneutica della libertà”. Ultima questione: il tema del laicato. Spesso lo si è confuso con movimenti, associazioni, organizzazioni. Ma tanti non ne fanno parte e allora sarebbe consigliabile tornare alla formula conciliare del “Popolo di Dio”, per una Chiesa che si ridefinisce, come affermato nella Costituzione Lumen Gentium del Vaticano II, a partire dall’economia sacramentale e non dalle strutture. Laddove Popolo di Dio è quello formato dal sacramento del Battesimo, mentre è nel contesto sociologico-giuridico che si delineano le organizzazioni. Anche in questo caso pare la traduzione dell’invito di Bergoglio alla Chiesa di uscire da sé, dal proprio narcisismo, per incontrare le persone sulla base di un ritorno alla Parola sine glossa. Evangelizzazione, coscienze, formazione, dissodare il terreno in un nuovo incontro infra-umano a partire dal livello intersoggettivo e con in mano unicamente il Vangelo. Certamente i tempi sono cambiati e sono diventati più difficili, ma molte di queste intuizioni non sono nuove. Troppe volte sono state semplicemente interrotte, stoppate, sacrificate, per obiettivi che poi si sono rivelati delle sonore sconfitte. Resta da capire se il corso di Bergoglio sarà una ricreazione in attesa di tornare in classe, come qualcuno tempo fa ha detto parlando del Vaticano II, oppure se rappresenta una svolta nell’ordinamento scolastico ecclesiale.

2. FINE

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Francesco Lavezzi

Laurea in Scienze politiche all’Università di Bologna, insegna Sociologia della religione all’Istituto di scienze religiose di Ferrara. Giornalista pubblicista, attualmente lavora all’ufficio stampa della Provincia di Ferrara. Pubblicazioni recenti: “La partecipazione di mons. Natale Mosconi al Concilio Vaticano II” (Ferrara 2013) e “Pepito Sbazzeguti. Cronache semiserie dei nostri tempi” (Ferrara 2013).


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