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C’ero anch’io ad ascoltare Marco Bechis [Qui] alla Sala Estense lunedì 7 marzo, intervenuto a presentare per la rassegna Esercizi di memoria il suo recente La solitudine del sovversivo, il libro uscito nella primavera del 2021, in cui egli racconta la sua storia personale di sopravvissuto alla detenzione in un carcere argentino nel 1977 e insieme la dittatura militare a Buenos Aires e la piaga dei desaparecidos.

Ero insieme a un centinaio di studenti del Liceo Ariosto e alle docenti che li hanno coadiuvati nell’organizzazione dell’incontro, ad altri colleghi della scuola (alcuni in pensione come me) venuti per interesse verso un evento come questo. Risucchiata dentro alle attività del progetto di lettura che ho contribuito a fondare nel 2003 al Liceo e a cui ho lavorato fino alla pensione nel 2020.

Il progetto si chiama Galeotto fu il libro e Galeotti si chiamano tutti coloro che vi partecipano, gli studenti che scelgono di iscriversi al gruppo di lettura e i docenti di alcuni dipartimenti di materia, non solo insegnanti di Lettere. Perché ho dovuto ripercorrere il perimetro di questa attività che non ho mai lasciato e da cui sono stata letteralmente conquistata anche lo scorso lunedì?

Perché ancora una volta ho provato uno straordinario senso di inclusione. Me l’hanno fatta sentire le colleghe e amiche, che mi hanno accolta come se fossi ancora dentro la scuola e lavorassimo ancora insieme.

garage olimpoMe l’hanno accordata subito le ragazze rimaste a pranzo con noi insegnanti e il nostro ospite: davanti a un piatto di cappellacci con la zucca e tra un commento e l’altro all’incontro appena finito, tra una domanda a Bechis su cosa sta preparando ora, se libro o film (risposta: “un film”) e il progetto di incontrarci di nuovo per vedere insieme il suo Garage Olimpo del 1999.

 

la solitudine del sovversivoChiara mi presta la sua copia di La solitudine del sovversivo; è un libro che ho letto solo per le pagine iniziali e avere ascoltato la conversazione dei ragazzi con l’autore mi spinge ulteriormente a conoscerlo. Sempre Chiara non riesce a prestarmi il canovaccio con le domande preparate per oggi, perché deve consultarle se vuole scrivere sul suo blog il resoconto di questa giornata.

Ci scambiamo i numeri di cellulare e al mio rientro a casa trovo il suo whatsapp con il link del blog; in risposta le invio un mio Di Mercoledì risalente all’estate scorsa, che ho dedicato a Fabio Genovesi e al suo Il calamaro gigante [Qui].

Genovesi verrà a scuola la prossima settimana e Chiara, che ha letto il libro, partecipa anche a questo gruppo di lavoro. In quell’occasione potrò restituirle il libro di Bechis. Domani intanto potrò leggere sulla stampa locale l’articolo scritto sull’incontro di oggi dalle giovani giornaliste galeotte.

Che dire di un rapporto così? Della lunghezza d’onda comune ritrovata nel giro di una tarda mattinata e di un pranzo? Della facilità con cui si conversa a tavola, della tenerina al cioccolato mangiata a metà con Bechis, mentre ancora gli chiediamo dei suoi lavori e personalmente dico che sento l’urgenza di leggere il suo libro nei prossimi giorni, mentre ancora ho chiaro in mente il suo volto, le inflessioni della voce e la generosità con cui ha dato risposte dirette alle domande incalzanti dei ragazzi.

Ho finito poco fa di leggerlo. È un libro di grande qualità narrativa ma soprattutto è un libro-specchio, in cui chi ha scritto ha voluto con onestà totale porsi davanti a se stesso. Per una rivisitazione analitica e insieme sintetica degli ultimi quaranta e oltre anni di vita, per un senso che si rende ancora possibile afferrare e restituire alla parabola del vissuto.

Tra il vuoto del dopo-prigionia e i pieni della vita come uomo e come padre, come regista e scrittore da una parte, come cittadino dall’altra. Cittadino del mondo: Bechis è uno che non può esistere senza viaggiare, uno che ritiene arcaico il concetto di identità nazionale e si è fatto la propria con le abitudini e i tratti culturali che ha metabolizzato in una moltitudine di paesaggi e di paesi, alloggi comunitari e case, in cui ha vissuto e vive con le persone care.

Il suo libro costituisce un atto artistico e un atto politico; come è stato per i film che ha girato, anche la scrittura lo ha aiutato a uscire dal “carcere mentale” in cui è vissuto dopo la liberazione dalla prigione sotterranea al Club Atletico di Buenos Aires nel 1977, quando aveva poco più di vent’anni.

Le esperienze artistiche sono cominciate un anno dopo il rientro a Milano: Bechis si sposta a Parigi per un servizio fotografico nei caffè cittadini del primo ‘900 e in quella occasione comprende quanto rigore e intransigenza occorrano per costruire un’opera d’arte, quanto l’opera  debba coincidere con la vita.

Alla pagina 215 del libro leggo le riflessioni di allora “L’arte non può fare a meno della politica, sto iniziando a coniare una mia personale maniera di fare arte e quindi politica, l’azione artistica è intrinsecamente politica, altrimenti non è.”

Il suo è un libro non solo sulla memoria come esercizio introspettivo e di bilancio sul passato individuale e collettivo, ma anche come intersecazione col presente e col futuro. Come le domande degli studenti lo hanno indotto a spiegare, è un libro sull’essere eroi e traditori al tempo stesso, sul senso di colpa dei sopravvissuti alle torture dei militari argentini, sul vuoto incolmabile che è scavato dentro.

Il vuoto che la giustizia dei tribunali non ha colmato nel lungo dibattimento conclusosi a Buenos Aires nel 2010 con severe condanne ai diciassette aguzzini ancora in vita, ritenuti rei di crimini contro l’umanità.

Il loro è stato per tutta la durata del processo un “silenzio violento”: nessuno di loro ha confessato alcunché, non i nomi dei torturati, non il luogo delle sepolture, non le circostanze dei voli della morte per gettare i prigionieri nell’oceano.

figli/hijosNon le famiglie dove vivono i bambini strappati appena nati alle giovani madri poi fatte scomparire, come Bechis ha raccontato nel film Figli/Hijos del 2001. Senza dare la possibilità alle madri di elaborare una assenza che le ha segnate per sempre.

Tutto questo è incredibile che possa stare dentro una sola persona, la stessa che a tavola conversa con bonomia e ha la leggerezza di assaggiare una piatto nuovo col sorriso e di voler vedere la Rotonda Foschini, che sa essere insieme al Teatro comunale uno dei gioielli di Ferrara.

La stessa che, facendo precisi riferimenti alla guerra in atto in Ucraina, ha richiamato i ragazzi ai valori fondamentale del rispetto e della libertà, che li ha spinti a esercitare il diritto al voto appena avranno diciott’anni, che li ha esortati non a sperare e basta ma a domandarsi “cosa posso fare”?

Alla domanda “Lei come vede la nostra generazione?” ha risposto senza esitazioni e senza alcuna ombra di protagonismo “Avete un compito difficilissimo in un mondo come questo in cui tutto è più invisibile”.

Nota biblio/filmografica:

  • Marco Bechis, La solitudine del sovversivo, Ugo Guanda Editore, 2021
  • Marco Bechis, Figli/Hijos, 2001  (Italia, Argentina)
  • Marco Bechis, Garage Olimpo, 1999 (Italia)

In copertina: il regista Marco Bechis, Ph Marie Hippenmeyer

Per leggere gli altri articoli e indizi letterari di Roberta Barbieri nella sua rubrica di Mercoledì, clicca [Qui]

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Roberta Barbieri

Dopo la laurea in Lettere e la specializzazione in Filologia Moderna all’Università di Bologna ha insegnato nel suo liceo, l’Ariosto di Ferrara, per oltre trent’anni. Con passione e per la passione verso la letteratura e la lettura. Le ha concepite come strumento per condividere l’Immaginario con gli studenti e con i colleghi, come modo di fare scuola. E ora? Ora prova anche a scrivere


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