LA SOCIETA’ FERITA DALLA CULTURA CAPITALISTA:
e ora si raccoglie ciò che si è seminato.
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E’ sconcertante constatare come la dimensione culturale sia presa se non con leggerezza, quanto meno non considerata nella sua reale valenza nel determinare i comportamenti individuali, ma soprattutto comuni, per non dire di massa.
Dalla caduta del muro di Berlino la proposta storica del socialismo reale è risultata perdente di fronte alla sfida della storia lasciando dilagare il pensiero capitalista che ha come unica finalità, come senso e valore della vita, il denaro e il suo accumulo e la competitività come suo strumento per raggiungere il successo. Il profitto come riconoscimento del merito.
A questa prospettiva si è ridotta tutta la complessità della realtà, dall’ambiente produttivo al commercio, dal mondo della ricerca al linguaggio fino al pensiero, arrivando alla qualità relazionale delle persone a partire dall’educazione. La competitività, quindi il successo personale, è diventata l’obiettivo da raggiungere, a cui dedicare ogni sforzo.
Da almeno venticinque anni i governi, soprattutto di destra, hanno costruito il loro successo elettorale inneggiando alle due parole d’ordine: produttività e competitività, smantellando lo stato sociale e privatizzando. Ora che la produttività ha portato al disastro ecologico e la pandemia virale ha fatto emergere l’errore di prospettiva della scelta capitalistica, dall’opposizione si critica la lentezza delle proposte del governo a rispondere all’urgenza della ricostruzione di una società più equilibrata e democratica.
Non si ricostruisce in un momento ciò che si è smantellato in vent’anni. Dopo aver impoverito, con l’istituzione del numero chiuso all’università, la disponibilità dei professionisti di vario genere dai medici agli insegnanti e non solo, non si può pretendere di rispondere con tempestività per quel che è necessario, alle carenze del servizio sul territorio oggi.
Oggi l’importante è capire qual è la strada da percorrere per costruire una organizzazione sul territorio adeguata alle necessità determinate da probabili ma imprevedibili nuove criticità, dovute proprio alla complessità della civiltà in cui ci siamo evoluti. Questo momento richiede la capacità di correggere scelte non adeguate, se non totalmente sbagliate, per limiti di lungimiranza rispetto alla qualità della vita umana.
La cultura inizia dalla scuola di cui noi per primi determiniamo la qualità. Non si può accusare i giovani di mancanza di rispetto e responsabilità civile, dopo che si è insegnato loro, attraverso la competitività, il successo personale come obiettivo principale.
La qualità civile di una democrazia è l’esercizio della libertà personale in un ambito di relazioni che definiscono la libertà comune come progetto di una società pacifica. L’esperienza della libertà personale nel riconoscimento della medesima qualità nell’altro è frutto di una consapevolezza che ha la profondità della storia, dalle origini dell’umanità ad oggi. Costruire questa consapevolezza è il compito della scuola in una democrazia matura, degna del suo passato. Avere cultura democratica e sapere comportarsi civilmente è frutto di una scelta e di una educazione acquisita e personale.
La civiltà è la consapevolezza di sé e del proprio valore, perché si sa da dove vieni e quante scelte e quanta fatica ci sono volute per raggiungerne la qualità attuale. Quindi, c’è da augurarsi che questa drammatica esperienza conduca a considerare la cultura come un valore da tenere in massima considerazione, irrinunciabile addirittura, su cui investire il massimo delle risorse. Il vero valore di una società è la persona consapevole di sé che sa perciò indirizzare le proprie scelte al bene comune.
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Grazia Baroni
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