Emergo da giornate scandite da noiosi e falsi pettegolezzi cittadini riguardanti “il culturame” come ormai sembra ridotta la riflessione sulla cultura e sulla sua distribuzione nel nostro Paese con due -per me- straordinarie consolazioni: ho trovato al Mercatino del libro un volume che inseguivo da anni: Uomini e topi di John Steinbeck nella traduzione di Cesare Pavese e l’articolo su “La Repubblica” del 31 luglio 2014 del sommo Arbasino sulla mostra americana del Futurismo di cui parlammo al Gramsci ferrarese Cecilia Vicentini ed io nella serie dedicata alla Grande Guerra. L’incantevole e straordinario scrittore tra i pochi veri Maestri sulla scena italiana riporta gustose filastrocche futuriste di cui una almeno per me memorabile tratta dall’ “Almanacco Purgativo 1914” compilato da Papini e Soffici al tempo della mostra fiorentina della Pittura Futurista del 1913. Straordinaria questa dedicata a Firenze (e che con amara ironia ha per me ancora sapore di scandalosa verità):
E’ Firenze quella cosa / Dove tutto sa di muffa / Tutto vive sulla truffa (“Movimento forastier)
Pensiero da mettere in meritato rapporto con le dichiarazioni di Antonio Natali direttore degli Uffizi a proposito del “Museo di Massa” di cui parlerò in altra occasione a proposito della contestata riforma proposta dal Mibact.
Altre perle su “La Repubblica”: la strepitosa autodifesa di Guido Ceronetti a proposito della lingua italiana nell’articolo Confessione di uno scrittore semiriuscito.
Incantevole l’analisi dell’uso di un modo di dire oltremodo in uso ora e linguisticamente sbagliato Riflette Ceronetti: “E ad ogni ‘piuttosto che’ al posto di ‘oppure’ ho sintomi di reflusso, ma ho un riparo forte come la morte: la tranquillità d’animo di un dovere perfettamente compiuto.”
A proposito di questo brutto e sbagliato modo di dire in un discorso di un politico locale ne ho contati tre di ‘piuttosto che’ al posto di ‘oppure’ nel giro di una dichiarazione di non più di 50 secondi. E’ dunque giusto difendere l’uso della lingua italiana?
Si chiede ancora Ceronetti: “Ma allora: che non sia ancora sepolta del tutto nelle discariche questa mia disperata lingua italiana?” Occorre dunque procedere a difendere e soprattutto a insegnare la lingua e la cultura italiana.
Risponde al proposito, sempre sullo stesso numero di La Repubblica, Piero Boitani l’ammiratissimo filologo a cui si devono analisi straordinarie del mondo classico e di Dante in un articolo che si titola: Verso la rottamazione: Boitani descrive una situazione che io stesso ho sperimentato due o tre anni prima di lui ovvero l’uscita dall’Accademia in anticipo rispetto agli anni concessi e che ora sembrano ridotti a 65 o 68 anni per i professori universitari (ma proprio ieri si è bocciata questa soluzione non essendovi la garanzia finanziaria!!!). Anch’io come Boitani credevo che questa volontaria anticipazione desse il modo di lasciar spazio ai giovani. Inutile e vana speranza. Così conclude il grande studioso: “Non si sa da chi gli studenti che non si possono permettere di studiare all’estero andranno a lezione dopo questa intelligente epurazione. Quanto ai professori vecchi e dementi, lasceranno l’Università senza rimpianti: non hanno avuto molto da essa negli ultimi quarant’anni”. E l’amara conclusione: “E’ un peccato che un governo nel quale il 40,8% degli italiani riponeva la fiducia due mesi fa racconti menzogne come i precedenti. Dica che lo fa per far cassa, come già Tremonti, il quale tagliò ai professori stipendi e liquidazioni (con la cultura, del resto, non si mangia nevvero?) che per inciso non sono mai stati reintegrati”.
Tutto questo conclude Boitani “non ha nulla a che fare con lo svecchiamento dell’Università. Vecchi, dementi, poveri e gabbati: non si faranno accompagnare dai nipoti a votare per Giannini, Padoan, Renzi”
Non male vero?
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Gianni Venturi
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