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Si chiama Icarus, è situata in un braccio a spirale di una galassia a circa 9 miliardi di anni-luce da noi ed è la singola stella più distante mai osservata dall’uomo. La scoperta, appena pubblicata sulla rivista Nature Astronomy, è stata realizzata da un team internazionale di ricercatori, che include l’astrofisico dell’Università di Ferrara Piero Rosati.
Rilevare un’area così distante da noi è stato possibile combinando la nitidezza delle immagini del telescopio spaziale Hubble con un particolare effetto lente di ingrandimento cosmologico”, spiega Rosati. “Abbiamo sfruttato un ammasso di galassie che si trova lungo la linea di vista tra noi e la stella e che, proprio per la sua posizione, ha agito come una potente lente gravitazionale naturale che ha amplificato la visione di quell’area dell’universo”.

L’ammasso di galassie che è servito da lente gravitazionale, denominato MACS J1149+2223 Lensed Star 1, risulta essere una supergigante blu molto più grande, massiccia e luminosa del Sole, del tutto simile alla stella Rigel nella costellazione di Orione.
“Lo studio delle cosiddette lenti gravitazionali, descritto accuratamente dalla relatività generale di Einstein, ci permette di studiare in dettaglio la distribuzione di questi “ammassi- lente”, composti per il 90% da materia di forma oscura” precisa l’astrofisico “Ciò è importante per noi, perché la materia oscura sfugge ancora alla nostra comprensione. Non emettendo radiazioni elettro-magnetiche, infatti, con certezza sappiamo solo che la sua natura è completamente diversa rispetto a quella familiare fatta di atomi e particelle note”.
L’effetto di ingrandimento gravitazionale, chiamato microlensing, era già stato sfruttato per scoprire nuove stelle e numerosi pianeti extrasolari nella nostra galassia, cioè a distanze di “solo” decine di migliaia di anni luce. L’effetto di lente gravitazionale combinato (ammasso + microlensing) ha amplificato la stella Icarus di circa 2000 volte, permettendo così la sua scoperta nonostante la sua luce sia stata emessa quando l’Universo aveva solo il 30% della sua età attuale (4,4 miliardi di anni dopo il Big Bang).
Conclude il professor Rosati: “L’imminente lancio del James Webb Space Telescope, successore di Hubble, darà un ulteriore impulso a questi studi, permettendoci probabilmente di rivelare le prime stelle dell’Universo, solo qualche centinaio di milioni di anni dopo il Big Bang”.
Il gruppo di ricerca coordinato dal professor Rosati, in collaborazione con Claudio Grillo dell’Università Statale di Milano e ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, ha studiato in dettaglio negli ultimi anni gli ammassi lenti gravitazionali oggetto dei recenti articoli su Nature Astronomy, avvalendosi anche di osservazioni spettroscopiche da terra del Very Large Telescope dell’ESO (European Southern Observatory).

Gli articoli sono consultabili ai seguenti link:
Press release NASA-ESA (comunicato stampa NASA-ESA)
https://www.nature.com/articles/s41550-018-0430-3 (stella più distante)
https://www.nature.com/articles/s41550-018-0416-1 (presentazione delle scoperte su Nature Astronomy).

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