La scommessa del Venezuela, una bomba per l’economia mondiale
Venezuela: abbiamo considerato tutto?
“Il Petro – si legge sul sito web dedicato https://www.petro.gob.ve/index.html – è uno strumento che consoliderà la stabilità economica e l’indipendenza finanziaria del Venezuela, unitamente a un progetto ambizioso e globale per la creazione di un sistema finanziario internazionale più libero, equo ed equilibrato”.
Il petro è una cripto valuta, è venezuelana ed è la prima controllata da un governo statale. Dal 21 agosto 2018 la Banca centrale di Caracas pubblica il valore del petro rispetto alle principali valute estere fissato ad un prezzo fisso di 60 $ e legato direttamente alle riserve di oro, ferro, alluminio, diamanti e petrolio. Ad oggi, in ogni caso, un altro fallimento del contrastato governo venezuelano in quanto impossibile anche solo capire quanto sia stato raccolto dalla sua sottoscrizione.
Un tentativo di Maduro, promosso in realtà già da Chavez nel 2009, di difendere le materie prime di cui il Venezuela è ricco e di svincolarsi dal dollaro. Ovviamente negli Usa fu subito impedita ogni transazione in petro e Trump rispose con nuove sanzioni, questa volta indirizzate all’oro (di cui il Venezuela è il secondo produttore al mondo). “Sono stati impediti tutti i rapporti commerciali con aziende connesse al settore aureo venezuelano e, di conseguenza, ora Caracas si trova in difficoltà nel ricevere certificazioni estere sulla qualità della materia prima” ha spiegato Vasapollo, docente di Politiche Economiche Locali e Settoriali presso La Sapienza, al seminario internazionale ‘Relazioni politico-economiche ed autodeterminazione dei popoli: la Nuestra America di Martì e la Patria Grande di Bolivar per una futura umanità’, tenutosi all’Università di Roma La Sapienza il 27 novembre 2018.
Le misure imposte da Trump hanno impedito l’acquisto di debito venezuelano, l’acquisto di titoli della società pubblica che controlla il petrolio, di ogni altra società venezuelana e di società partecipate dal governo di Caracas, nonché bloccato ogni finanziamento in dollari al Paese. In sostanza, il Venezuela è stato escluso dal mercato più grande del mondo (il dollaro rappresenta tra il 40 e il 60% delle transazioni finanziarie globali). “Ne hanno risentito, di conseguenza, le importazioni di cibo, medicinali, pezzi di ricambio e così via. Si tratta delle sanzioni più gravose che abbiano mai colpito un Paese latinoamericano nell’intera storia del Sud America, peggiori di quelle contro Cuba” ha aggiunto l’ambasciatore del Venezuela in Italia, Juliàn Isaìas Rodrìguez Dìaz, durante lo stesso seminario.
Seguire il vil denaro, anche nelle sue accezioni moderne ed elettroniche, aiuta a capire qualcosa in più dei tragici avvenimenti che si stanno susseguendo in questi giorni in Sud America e quel che vorrei fare con queste righe è stimolare la ricerca e l’approfondimento, senza dare giudizi.
Ripartiamo dall’inizio.
Le insidie al potere del dollaro
Stampare denaro non costa nulla da quando Nixon decretò la fine degli accordi di Bretton Woods, ovvero dal 1971. Fino ad allora per farlo bisognava avere dell’oro come sottostante ma già la Fed si era accorta che la guerra del Vietnam e la corsa agli armamenti avevano fatto sì che ci fosse in circolo un volume di dollari di 6/7 volte superiore al corrispettivo valore delle riserve auree.
Gli Stati Uniti ne stampano tanti e praticamente a costo zero, comprano beni e servizi in tutto il mondo, ma la Cina, la Russia e tutti gli altri pagano dollari veri per avere le stesse cose. Attualmente, il debito pubblico statunitense ha raggiunto il livello record di 21 trilioni di dollari, superando il 100% del Pil.
Questo vuol dire, nel caso unico degli Usa, che il mondo finanzia la sua spesa. Il mondo compra il debito USA perché questi possa comprare i beni che importa e che il mondo stesso gli vende. Non è difficile da capire, così come comprendere che lo possano fare solo gli Usa grazie al controllo militare del mondo. Ma come il sistema di Bretton Woods crollò quando alcuni paesi cominciarono a chiedere indietro oro al posto dei dollari, così il sistema attuale potrebbe crollare se alcuni paesi cominciassero a chiedere qualcosa di più reale del dollaro o, magari, semplicemente qualcosa di diverso, in pagamento delle proprie esportazioni.
Ergo, bisogna stare sulla difensiva e per tali motivi è interesse degli Stati Uniti, che ha, oltre ad un debito pubblico finanziato dall’estero, anche un deficit di bilancia commerciale che superava gli 800 miliardi di dollari nel 2018, mantenere politiche debitorie e far sì che la domanda di dollari sia costantemente sostenuta dall’estero perché con quei pezzi di carta ci paga i beni che importa.
Le insidie al potere del dollaro e gli assetti geopolitici
Questi sono un po’ dei motivi che rendono Maduro più detestabile di quanto magari sia davvero e si trovano anche un po’ di fondamenta per le sanzioni contro il Venezuela. Ma il pericolo viene anche da altri luoghi. Ad esempio, l’India ha siglato con la Russia il più importante contratto di difesa denominato in rubli dal 1991, come affermato ad Ottobre del 2018 dal vice premier russo Yury Borisov. Pechino sta scambiando energia con la Russia in yuan e spinge i suoi principali fornitori di petrolio in Arabia Saudita, Angola e Iran a fare lo stesso. La Banca di Russia in un anno ha incrementato la quota di attività cinesi nelle sue riserve auree di 48 volte. La Turchia sta cominciando a comprare grandi quantità di grano in rubli e le società petrolifere russe stanno cambiando la valuta dei contratti da dollaro a euro. Dal momento che la Cina è il primo importatore mondiale di petrolio, è logico che voglia acquistarlo nella propria valuta e quindi evitare le commissioni di cambio sulle transazioni. E la Cina insieme alla Russia parla di queste cose con Caracas, dato che il Venezuela dispone dei più vasti giacimenti di petrolio del pianeta (shale oil a parte), e comunque sembra che Pechino abbia già lanciato un contratto future sul greggio denominato in yuan.
Se un Paese vive di materie prime, come fa il Venezuela, non ha un gran futuro ma di sicuro una priorità strategica per la propria economia è limitare la propria esposizione al rischio valutario statunitense.
Le insidie al potere del dollaro, gli assetti geopolitici ma anche colonialismo, imperialismo e neoliberismo
Facendo di nuovo un passettino indietro, senza esagerare, arriviamo alla dottrina Monroe (5° Presidente degli USA) che sanciva, il 2 dicembre 1823, la supremazia degli Stati Uniti nel continente americano e sottolineava che gli Stati Uniti non avrebbero tollerato alcuna intromissione negli affari americani da parte delle potenze europee.
Dottrina contro il colonialismo da una parte, ma anche dottrina considerata come la primissima formulazione teorica dell’imperialismo statunitense. E in effetti la teoria fu rivista da Theodore Roosevelt (26° Presidente degli Usa) che la utilizzò come base per affermare una forma di egemonia sul continente americano, una specie di no fly zone, un protettorato sull’area centroamericana e caraibica, che durante la guerra fredda servì anche a giustificare interventi politici e militari statunitensi in America centrale e meridionale.
Da sempre la politica estera degli Stati Uniti consiste nel dividere il mondo in Stati amici e Stati canaglia, e di questi fanno parte tutti coloro che la pensano diversamente. Chiunque rischia di diventare un dittatore quando c’è bisogno di giustificare un intervento armato per avere l’approvazione e l’aiuto del mondo civilizzato e legato al potere del dollaro. Gran Bretagna e Canada in primis e poi Europa a seguire.
La sola vicenda dell’Iraq di Saddam Hussein, con annesse scuse postume di Blair, dovrebbe bastare per calmare gli animi sul Venezuela e stimolare quanto meno la prudenza. Personalmente ho dato un’occhiata ad alcuni cambiamenti che si sono avuti fin dall’insediamento del “dittatore” Chavez e mi hanno lasciato perplesso.
Utilizzando come fonte gli ultimi aggiornamenti del Ci World Factbook si osserva che la mortalità infantile in Venezuela passa dal 26,17% del 2000 al 12,2% del 2016; la linea della povertà è passata dal 67% del 1997 al 19,7% del 2015; il tasso di alfabetizzazione dal 91% del 1995 al 97% del 2016; il Pil pro capite in dollari americani è passato dagli 8.000 del 1999 ai 12.400 dollari del 2017.
Insomma ci sono altri aspetti da considerare per la comprensione del fenomeno venezuelano e della rivoluzione chavista che Maduro ha provato a portare avanti, che non dovrebbero escludere il potere, in pericolo, del dollaro. E poi gli assetti geo-politici, una considerazione globale di quanto successo in tutto il Sud America e le altre rivoluzioni contro le imposte dottrine neo liberiste o i rimedi già imposti altre volte dagli USA e benedetti dalla comunità internazionale chiamata ad essere coesa e solidale con la “democrazia occidentale”.
Per chiudere: “La guerra è una mafia”
Smedley Darlington Butler (1841 – 1940) è stato un generale statunitense insignito due volte della Medal of Honor, la più alta decorazione militare assegnata dal Governo degli Stati Uniti. Durante la sua carriera di marine durata 34 anni partecipò ad azioni militari nelle Filippine, in Cina, in America Centrale e nei Caraibi durante le guerre della banana. Guerre così soprannominate ad indicare una serie di occupazioni, azioni di polizia e interventi militari attuati dagli Stati Uniti nel Centroamerica e nei Caraibi tra il XIX secolo e la prima metà del XX. Il Generale ci lasciò questa frase, tra le tante: “Ho trascorso trentatré anni e quattro mesi in servizio militare attivo come membro della forza militare più agile di questo paese, il Corpo dei Marines. Ho prestato servizio in tutti i gradi commissionati dal secondo tenente al maggiore generale. E durante quel periodo, ho passato la maggior parte del mio tempo a fare l’uomo muscolare di alta classe per il Big Business, per Wall Street e per i banchieri. In breve, ero un racketeer, un gangster per il capitalismo, uno di quelli che ritirano il pizzo.
Ho aiutato la United Fruits (oggi Chiquita) in Honduras nel 1903; ho contribuito a ripulire il Nicaragua per la Banca d’affari Brown Brothers (oggi Bbh) dal 1902 al 1912. Nel 1914 ho reso il Messico un posto sicuro per i petrolieri americani. Ho portato la luce nella Repubblica Dominicana per gli interessi delle imprese della canna da zucchero nel 1916. Ho fatto in modo che Cuba e Haiti diventassero un posto accogliente per i ragazzi della National City Bank (oggi Citigroup Inc.), in modo che potessero rendere profitti. Ho contribuito a stuprare una mezza dozzina di repubbliche centroamericane a beneficio di Wall Street.”
E conclude “… potrei dare dei consigli ad Al Capone. Il meglio che lui sia riuscito a fare è stato operare in tre quartieri. Io l’ho fatto in tre continenti”.
in copertina illustrazione di Carlo Tassi

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Claudio Pisapia
PAESE REALE
di Piermaria Romani
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)