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Mai avremmo pensato nel cattolicesimo di Francesco, nelle caducità della fragilità umana, nelle debolezze della vita, nel senso pieno delle cose, di ritrovare quella “misericordia”, quel salto alto della giustizia, non solo quella che chiediamo ma, soprattutto, quella del Dio che si fa uomo, che fatichiamo a comprendere.

Forse aspettavamo che venisse qualcuno dalla fine del mondo, anche con radici piemontesi, anche vestito di bianco e la borsa nera nella mano, che si fa il caffè da solo al mattino, che lo puoi sentire al telefono dopo il telegiornale, per metterci a riflettere in silenzio e meditare sull’immensità.

Dico questo, anche per questi tempi nuovi, perché nel prosieguo della narrativa potremmo incontrare altri ed ulteriori aiuti per riflettere su di noi, su noi stessi e non solo.
C’è un binomio forte tra misericordia e giustizia, delineato nei pomeriggi al centro studi San Barnaba di Brescia, che qui ci piace richiamare; questa riflessione mi è stata inviata dal relatore l’avvocato Bazoli, ben dieci anni fa, e la proposi già allora per un mio intervento sulla giustizia.

Debbo anticipare che mi è difficoltoso entrare nel tema, stante una mia diversa formazione, ma non posso non rimettere la questione all’attenzione del lettore, su questo quotidiano, perché molto interessante e di estrema bellezza.
“I dieci giusti e la salvezza della città” (genesi 18, 20 – 33) sviluppa il tema della solidarietà della colpa, parla del profilo misericordioso di Dio, del momento della retribuzione dei meriti, della verità di una giustizia ispirata dall’amore, degli operai della vigna. E’ un brano che spiega come i meriti degli uomini riscattino le loro colpe; un passaggio stretto, da indurre Dio a perdonare secondo i criteri di giustizia seguiti dalla Sapienza divina. A questo punto, sottolinea il relatore, resta da chiarire se il modello sia destinato a realizzarsi nell’ordine terreno ed entro l’orizzonte della storia umana o soltanto in una prospettiva escatologica.

Ora proviamo ad attualizzare questi significati e farli insegnamenti validi, entrandovi dentro. Va comunque precisato che non siamo di fronte a un testo del Vecchio testamento, precettistico e profetico, ma ad un racconto storico che contiene modelli di comportamento che sono riferibili alla realtà di ogni tempo. D’altro canto, il richiamo al Nuovo Testamento evidenzia un Dio giusto ma misericordioso, un Dio che punisce ma che è disposto al perdono e, quindi, non un giudice severo ma che si propone di amare gli empi e i colpevoli, e non soltanto di risparmiarli in ragione dei meriti dei giusti.

Quindi la visione evangelica è all’orizzonte della salvezza del singolo uomo e può essere applicata anche ai rapporti tra i popoli, degli stati o delle nazioni, vale a dire la punizione di una collettività colpevole. E’ su questo aspetto che intendiamo soffermarci e riflettere, sui “giusti e la salvezza della città”, sui principi informatori della giustizia divina e additabili alle Istituzioni terrene, su come punire una comunità incolpevole risparmiando gli innocenti.

Ci pare obbligo pensare alle azioni di guerre aggressive e ai regimi dittatoriali, mettendo insieme, nel disegno degli uomini innocenti e colpevoli, trovando e cercando (una sorta di giustificazione) l’inevitabile e l’unico rimedio, il tutto come l’opposto della giustizia divina.

Non è fuori luogo, quindi, ricordare: da un lato, la nostra Costituzione all’art.11 che “…ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” e, nell’altro caso, le dittature, pensando ad ogni forma di minoranze emarginate (il sale della terra, le voci dei profeti nel deserto, i dieci giusti a Sodoma, le sacche di resistenza al nazismo, gli 11 docenti che dissero no al fascismo, i gulag in siberia, le madri di plaza de mayo, l’inquisizione, le torture dei dittatori) per sanzionare e punire le colpe collettive con le sue formalità umane complesse di prassi e il contrasto radicale con le Scritture.
Basterebbe pensare all’imperativo scritturale: “…sarà la virtù di un solo giusto a meritare la salvezza di tutti” per comprendere in quale conto il Signore tenga le prove e le umiliazioni dei giusti che resistono nel mantenersi fedeli alla virtù.
A ciò si può aggiungere anche la riflessione della giustizia nella storia e il disegno tra quella di Dio e quella dell’uomo nella narrazione delle Sacre scritture. Se la volontà di Dio è che il giusto non perisca insieme ai peccatori, molto spesso l’apparente indifferenza di Dio, per i mali delle vicende degli uomini, da quello compiuto dall’uomo alle calamità naturali fino alla fragilità e caducità di ogni elemento del creato, con il suo “ silenzio “, è motivo di smarrimento sia per chi crede che per quello che non crede.

Nel Nuovo Testamento, però, c’è una svolta radicale nei rapporti tra Dio e gli uomini, cioè:…” l’ineluttabilità del male, di quello prodotto dall’uomo, che è conseguenza della sua “ libertà “, e di quello derivante da eventi naturali, che è conseguenza della imperfezione del creato, ha indotto Dio al passo sorprendente di entrare nella storia, alla decisione di viverla alla stregua degli uomini stessi.
Il Creato si fece creatura, Dio si fece carne e uomo e come detto dal Poeta – “ il suo fattor non disdegnò di farsi sua fattura “.
Quindi, diversamente dal Vecchio Testamento, la Nuova Alleanza tra Dio e l’uomo, è imperniata solo su un unico Giusto, inviato a salvare il mondo; ma qui si entra nel nuovo ordine di verità e dei misteri rivelati: la vittima risorge e manifesta il potere di realizzare un nuovo regno di giustizia.
La proclamazione delle Beatitudini sono, pertanto, la chiave di volta della Nuova Alleanza e il tema della giustizia ricorre ben due volta: viene santificata, sia la sete di giustizia che la sofferenza a causa della giustizia.

Ma perché abbiamo pensato a tutto questo, stralciando, anche con difficoltà, l’essenza della citata narrativa? Sciolgo l’interrogativo dicendo che lo scritto è frutto di una approfondita ricerca e analisi, non solo storica, del relatore che è un avvocato bresciano. A noi, in questa circostanza, non interessa l’avvocato, ma ci interessa che è anche un notissimo banchiere, chiamato tanto tempo fa da Nino Andreatta a salvare una banca.
Citarlo, soprattutto al giorno d’oggi, ci vuole del coraggio, sapendo però che nel maneggiare i denari, per adoperarli bene, serve un po’ d’anima e capire, soprattutto, che c’è la bontà incommensurabile della misericordia.

Vorrei concludere con le considerazioni del banchiere: “… l’orizzonte della giustizia di Dio si realizzerà, pienamente, solo nell’al di là, ma è percepita da ogni singolo uomo, nel suo cuore, già durante la vita. Tutto ciò può sembrare incredibile, come un sogno; ma se non avessimo questo sogno, la nostra vita si consumerebbe senza scopo e senza speranza”.

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Enzo Barboni



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