LA RIFLESSIONE
Reali bisogni e tutela dei beni collettivi al tempo della crisi
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La società attuale si fonda sui due pilastri collegati della produzione e del consumo. Poco importa che politiche differenti privilegino l’uno o l’altro versante, il profitto o il lavoro: secondo il mainstream la crescita illimitata del consumo sembra essere ancora l’unica possibile soluzione per garantire infrastrutture e servizi che diamo ormai per scontati; ed è proprio nel nome della crescita che devono sempre essere inventate nuove opportunità per ampliare e rimodellare i bisogni: questi diventano sempre più spesso un attributo del sistema economico, una produzione della mega-macchina, una variabile della produzione piuttosto che essere una dimensione fondante del vivere civile che si appoggia innanzitutto sulle precondizioni biologiche, antropologiche e sociali della vita.
La crisi che stiamo attraversando pone drammatici interrogativi a questo modello che mostra come non mai un’autoreferenza estremamente pericolosa, che lo porta a funzionare ciecamente in base alle proprie regole interne, dissipando e distruggendo tutti quei beni comuni che sono indispensabili alla vita. L’urgenza di un cambiamento radicale rispetto a questo stato di cose si sta dimostrando tutt’altro che semplice: se cambiamento positivo ci sarà, esso non potrà che scaturire anche dal basso e passare anche attraverso una destrutturazione e uno smontaggio del concetto stesso di bisogno e del suo utilizzo corrente. E’ proprio dal modo con cui una società definisce, conosce, organizza i propri bisogni e li risolve che si misura il suo grado di civiltà. Ma quali bisogni e per quali persone?
Il bisogno si mostra sempre in due modi: come spinta all’azione, come stimolo e motivazione interna che porta a certi tipi di comportamento o di scelta; come stato di carenza, di mancanza rispetto a qualcosa ritenuto importante, possibile auspicabile, problematico o addirittura essenziale; come un problema che può essere risolto.
Dietro questa tensione tra motivazione e carenza si può intuire la presenza di un duplice meccanismo generatore di bisogni: da un lato, imprese che lavorano a pieno ritmo per individuare e strutturare nuovi bisogni, soggetti sociali impegnati a costruire sciami di consumatori perennemente insoddisfatti che inseguono l’oggetto del desiderio – beni e servizi non fa differenza – secondo i dettami delle mode e spesso all’insegna dell’usa e getta; dall’altro, legioni di esperti che, insieme ad organizzazioni pubbliche e non profit, sono impegnati nell’individuare e patologizzare sistematicamente ogni tipo di comportamento e su questo costruire sempre nuovi servizi.
Se questo meccanismo alimenta la crescita e fa crescere l’economia nel nome del bisogno, alimenta anche una spirale perversa che rischia di depotenziare sempre di più le capacità più genuine delle persone ormai ridotte a meri consumatori che possono o credono di esercitare il loro spazio di libertà solo nella scelta di beni o servizi.
Al di sopra di questo aleggia (ed è parte integrante del meccanismo) una formidabile retorica pubblica che parla di solidarietà, di libertà, di democrazia, di tolleranza che, muovendosi nel contesto ideologico della crescita a tutti i costi, non mette minimamente in discussione il meccanismo produttore del disagio; la crescita infinita e null’altro è il meccanismo che deve essere salvaguardato ad ogni costo per garantire lavoro, efficienza e quindi ulteriore consumo.
In tale contesto economico e sociale il problema dei bisogni fondamentali dell’uomo non è affatto risolto ma è diventato – in assenza di radicali cambiamenti – quasi irrisolvibile: per definizione infatti, il bisogno non deve mai essere soddisfatto definitivamente pena la fine della corsa alla crescita illimitata.
Osservata in questa prospettiva centrata sui bisogni, la situazione sociale appare in una luce decisamente inquietante, caratterizzata da una immagine riduttiva e stereotipata di uomo come essere insaziabile ancor prima che orientato in modo prettamente egoistico; una società che non sa più riprendere contatto con i valori fondativi, con l’ambiente che manipola e con la dimensione genuinamente umana dell’esistenza sostituita completamente dalla dinamica del consumo compulsivo e per certi versi obbligatorio.
Che conseguenze per il welfare attuale e per quanti si occupano professionalmente e direttamente di bisogni nel mondo dei servizi alla persona? Per quanti sono impegnati nel riconoscere ed affrontare vecchi e nuovi problemi che si riproducono incessantemente nella società del consumo?
Per tutti corre l’obbligo di muoversi in questo campo complesso con discernimento e senso della strategia aprendo spazi di riflessione e creatività finora poco frequentati.
Alcuni spunti:
– il potenziamento e il rafforzamento delle capacità dei soggetti assistiti e delle loro reti di relazioni diventa sempre più importante; infatti esiste sempre il rischio che progettando ed offrendo servizi e soluzioni venga soffocata la spinta personale a superare lo stato di bisogno, quella motivazione che consente ad ogni individuo di giocarsela e di arrangiarsi;
– operatori ed organizzazioni sociali devono diventare sempre più spesso scopritori ed organizzatori di capacità e di risorse, presenti ma spesso ignote, che finora non rientravano nelle loro attenzioni e nei loro obbiettivi;
– il riconoscimento di essere all’interno di un sistema complesso esclude che politiche e settori possano agire in modo indipendente ed autoreferenziale senza tener conto delle conseguenze per altre parti del sistema;
– ne consegue che la co-partecipazione alle scelte strategiche di pianificazione territoriale diventa particolarmente importante per affrontare alla radice meccanismi perversi generatori di disagio; infatti è necessario riconoscere che numerose scelte e non scelte politiche ed amministrative sono esse stesse potenti generatori di problemi a fronte dei quali è sempre più difficile trovare risorse adeguate;
– il tema dei determinanti della salute ampiamente intesa e del benessere sociale (non riduttivamente inteso in senso economico) devono diventare vincoli (e risorse) per qualsiasi tipo politica: l’idea di prevenzione appare infatti come un palliativo piuttosto debole che si contrappone a forze economiche ampiamente incontrollate;
– la crescente carenza di fondi costringe ad intraprendere profondi processi di cambiamento basati sull’innovazione sociale e l’utilizzo massiccio di nuove tecnologie: alla luce di questo urge capire quali tipi di bisogno sono fondamentali ed irrinunciabili e rivedere quali tipi di servizio sono strategici per affrontarli seriamente con l’unico obiettivo di soddisfarli.
In quest’ottica il riconoscimento, il recupero, la tutela e la riproduzione dei beni collettivi diventa pista di sviluppo quasi obbligata.
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Bruno Vigilio Turra
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